Valentine's Writing Contest
  • Poll choices
    Statistics
    Votes
  • Olesya Inchinatevi
    70.00%
    7
  • The Sadistic One
    50.00%
    5
  • Michele Massi
    30.00%
    3
  • Grimar
    30.00%
    3
  • MantisWhisperer
    30.00%
    3
  • Eireen
    20.00%
    2
  • Follenya
    20.00%
    2
This poll is closed (Voters: 10)

Valentine's Writing Contest

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1.  
    .
    Avatar

    Advanced Member

    Group
    Administrator
    Posts
    2,523
    Location
    Fantarsya - il mondo della Fantasya GdN/R

    Status
    Offline

    XPuGOqC

    Bevenuti all'evento di San Valentino di quest'anno!
    Poiché ci sono già alcune quest aperte in questo periodo,
    l'amministrazione ha optato per un nuovo tipo di evento:
    il contest di scrittura romantica!



    Di cosa si tratta?
    Ogni utente di Fantarsya potrà scrivere una storia breve (max 5000 parole - equivalenti a circa 20.000/25.000 caratteri) incentrata sull'amore, usando quanti personaggi desidera.
    I personaggi da utilizzare devono essere presenti nella sezione Attivi e non devono appartenere all'utente scrivente.
    Vale a dire che la storia dovrà essere una specie di fanfiction i cui protagonisti saranno i personaggi altrui!
    Il numero di personaggi utilizzabili nella storia è illimitato, purché non appartengano all'utente.
    Lo scrittore non ha bisogno dell'autorizzazione preventiva di chi ha creato il personaggio, in quanto la storia sarà una personale interpretazione dei personaggi scelti.
    Ogni utente (anche non partecipante) avrà poi diritto a votare la propria storia preferita nel sondaggio allegato a questo post.
    Un utente non può auto-votarsi.
    NB: storie che non seguano le linee guida non saranno votabili.
    NB: auto-voti non saranno validi.


    Quali sono i premi?
    1. Primo classificato:
      • 100 slots (generali)

      • 100 slots (a scelta)

      • 10 classi aggiuntive

      • 10 specializzazioni aggiuntive

      • 5 avanzamenti di grado

      • 3 trofei

      • archievement "I love events!"

      • 3 capacità che ignorano le limitazioni

      • 3 capacità speciali (a discrezione dello staff)

      • 1 oggetto speciale (a discrezione dello staff)


    2. Secondo classificato:
      • 50 slots (generali)

      • 50 slots (a scelta)

      • 5 classi aggiuntive

      • 5 specializzazioni aggiuntive

      • 3 avanzamenti di grado

      • 2 trofei

      • archievement "I love events!"

      • 2 capacità che ignorano le limitazioni

      • 2 capacità speciali (a discrezione dello staff)

    3. Terzo classificato:
      • 25 slots (generali)

      • 25 slots (a scelta)

      • 3 classi aggiuntive

      • 3 specializzazioni aggiuntive

      • 1 avanzamento di grado

      • 1 trofeo

      • archievement "I love events!"

      • 1 capacità che ignora le limitazioni

      • 1 capacità speciale (a discrezione dello staff)

    4. Altri partecipanti:
      • 10 slots (generali)

      • 10 slots (a scelta)

      • 1 classe aggiuntiva

      • 1 specializzazione aggiuntiva



    Come posso partecipare?
    Per questo gioco non è richiesta l'iscrizione preventiva.
    Per chiunque desideri partecipare, sarà sufficiente postare, come risposta a questa discussione, la propria storia breve entro la data di scadenza del contest.
    Il contest aprirà ufficialmente il 14/02/2020 alle ore 09:00 e chiuderà il 27/02/2020 alle ore 23:59.
    Una volta chiuso l'evento, si darà il via alle votazioni, che si concluderanno il 29/02/2020 alle ore 23:59.
    NB: voti precedenti o antecedenti a tali date non saranno validi.

    Edited by Sorte (Master) - 25/2/2020, 13:09
     
    .
  2.  
    .
    Avatar

    Advanced Member

    Group
    Administrator
    Posts
    2,523
    Location
    Fantarsya - il mondo della Fantasya GdN/R

    Status
    Offline
    FAQ:

    Deve essere per forza amore romantico?
    Risposta: No, può essere qualsiasi forma d'amore, purché non si scada del porno (nel caso di scene a luci rosse, l'amministrazione invita a ridurre il tutto ad allusioni e descrizioni romantiche e non volgari).

    Se non ho un pg attivo, posso partecipare comunque?
    Risposta: Sì.

    So che TIZIO ha scelto i personaggi Caglio e Sempronia: anche io volevo usarli, posso ancora farlo?
    Risposta: Sì, nelle regole non è vietato usare personaggi già scelti da altri.

    Posso descrivere un amore come quello di Narciso per sé stesso?
    Risposta: Sì, nelle regole non è presente un limite minimo di 2 personaggi, per cui se ne può scegliere semplicemente 1.
     
    .
  3.  
    .
    Avatar

    Advanced Member

    Group
    Administrator
    Posts
    2,523
    Location
    Fantarsya - il mondo della Fantasya GdN/R

    Status
    Offline
    ATTENZIONE: nel regolamento era scritto che il limite massimo delle storie doveva essere 5000 caratteri: l'errore è stato corretto, in quanto l'amministrazione intendeva 5000 PAROLE!
     
    .
  4.  
    .
    Avatar

    Junior Member

    Group
    Ex Fantarsyano
    Posts
    53

    Status
    Anonymous
    Era un colorato, mite e glorioso autunno.

    Eravamo appena usciti da quel coffe-shop in cui mi aveva trascinato. Ci eravamo passati davanti quasi per sbaglio, quando d'improvviso lei mi trattenne per una manica della giacca. "Ehi" disse sorridendo sorniona "Andiamo, facciamo un piccolo break." E mi prese per mano trascinandomi all'interno.

    Non mi piace il caffé. Non mi è mai piaciuto. Ma quando mi porse la tazzina guardandomi negli occhi mentre l'assaggiavo, mi sembrò la cosa più buona che avessi mai gustato.

    Posando la tazzina, mi accorse di provare ancora un piacevole formicolio, lì dove mi aveva afferrato la mano.

    Mentre camminavamo per il parco con le nostre bevute in mano, cominciò a cadere una leggera pioggerella. Con naturalezza lei estrasse un ombrellino dalla borsa per coprirsi, mentre io alzai il cappuccio del giubbotto, incurvando appena le spalle per proteggermi dalle intemperie.

    "Non essere sciocco." ridacchiò, tirandomi sotto l'ombrello con lei. Non potei fare a meno di sorridere a mia volta: la sua risata è sempre stata contagiosa. Nel mentre, il sole tornò a fare capolino pochi minuti dopo, allorché mettendosi a sedere su una panchina, mi fissò in un muto invito a prendere posto accanto a lei. Sorrisi, non potendo fare altro che fissarla a mia volta, in adorazione, prima di prendere posto sulla panchina.

    "Quindi Chris...." cominciò lei: conosco quel tono di voce, ed è sempre pericoloso. "C'è qualcuno che ti piace?" domandò quasi sussurrando, ed immediatamente discostai lo sguardo. Avrei voluto urlare (Tu. Tu. Tu. Mille volte tu. Sei l'unica cosa a cui riesco a pensare, Daenerys. Sei dolce. E divertente. E bellisima. E...)

    Invece, con aria atona, scrollai le spalle, fissando il liquido nero all'interno del bicchiere, facendolo dondolare con noncuranza. Non sono mai stato bravo ad esprimere i miei veri sentimenti.

    Lei sorrise con una certa cautela e imbarazzo "Se ti dico chi piace a me, ti sentiresti più a tuo agio a dirmelo?" "Okay." risposi un po' esitante, sempre cupo e un po' avvilito.

    "La persona che mi piace..." Denny prese un profondo respiro, prima di sussurrare "...sei tu."

    Il bicchiere mi scivolò di mano, spargendo quello che rimaneva del caffè sul terreno.

    "Scusa se ho aspettato tanto a dirtelo, è un po' che stavo pensando a come fare. So che esci con me solo perchè siamo amici da molto tempo, ma io..." Misi delicatamente la mia mano sopra la sua bocca, fermandola, con sui leggero stupore. Presi un profondo respiro "Denny, io..." la voce però mi si strozzò in gola, ancora una volta. Lei lentamente spostò la mia mano con le sue, avvicinandosi ancora di più verso di me: il suo profumo è tuttora la cosa che mi fa stare meglio al mondo.

    "Si, cosa c'è?" chiese, lievemente corrucciata e con un tono di voce preoccupato. Siccome le parole ancora sembravano non riuscire a prendere forma nella mia gola, espressi i miei sentimenti nella sola maniera che potevo: prima che il coraggio mi fuggisse via dalle dita come acqua, mi chinai in avanti, e premetti le mie labbra contro le sue. Dopo un primo momentaneo shock, anche lei si lasciò andare, e mi baciò con rinnovata passione: mentre le sue labbra si muovevano sulle mie, il sangue sembrava ribollirmi nelle vene.

    Le sue mani andarono a circondarmi il volto formando un delicata coppa, mentre timidamente allungavo le braccia intorno ai suoi fianchi, stringendola piano a me. Lei si lasciò andare ancora più profondamente al bacio, muovendo la sua lingua con passione e avidità, costringendomi quasi ad un piccolo verso di piacere.

    (Sta succedendo daverro? E' un sogno?) Sono le uniche cose che riuscivano a passarmi per la testa in quel momento.

    Dopo un tempo che sembrò infinito, ci separammo lentamente, entrambi senza fiato, ma felici. Lei inclinò la testa in avanti in modo che le nostre fronti potessero toccarsi, mormorando un semplice, bellissimo "Wow..." Mossi la testa una singola volta, per annuire, in silenzio.

    "Chris, questo vuol dire..." Era senza parole. Per la prima volta in vita mia vedevo Denny in difficoltà, ed era opera mia: diciamocelo, un pochino mi sentivo fiero di me stesso. Facendomi forza, le afferrai dolcemente le mani tra le mie, tirandomele quasi al petto "Daenerys, vorresti essere la mia ragazza?". Lei squittì, cominciando a saltellare su e giù di felicità, in quel modo buffo che ho sempre trovato adorabile, ma che non avevo mai avuto il coraggio di confessare.

    Quindi lo feci subito. "Sei adorabile." dissi, sorridendo con ritrovata naturalezza. Non l'avevo mai vista neanche arrossire ferocemente, eppure era ciò che stava accadendo in quel momento: mi aggredì con un abbraccio formidabile, e io lascia che la mia testa affondasse nel suo collo, tra i lunghi capelli candidi.

    "Quindi è un sì?" chiesi sussurandole nell'orecchio: lei mi prese le mani, e cominciò a farmi girare in circolo. "Certo che è un sì, scemo!", e ridemmo insieme, di gusto e a lungo.

    "Oh, bene. Quindi posso fare dinuovo così." fermandola, tirandola ancora una volta a me, e baciandola con passione, entrambi lì in piedi in mezzo alla via del parco. Ancora una volta non posso fare a meno di pensare (Non posso crederci. Non posso crederci.)

    (Non posso crederci!) E' ciò che ho continuato a pensare un anno dopo, quando siamo andati a vivere insieme.

    (Non posso crederci!) Era l'unica cosa che mi veniva in mente, quando ti ho vista camminare verso l'altare, candida e raggiante come non mai.

    (Non posso crederci!) Ho continuato a ripetermi, quando ho ricevuto quella chiamata.

    "Non posso crederci..." Dico oggi, in questo pomeriggio di autunno come quello di tanti anni fà. Lo dico al silenzio di questo sole timido ma caldo, come la tua stretta di mano di quel giorno: ho i tuoi fiori preferiti tra le mani, ormai invecchiate dall'età, dal lavoro e dalla sofferenza.

    Sposto con delicatezza il vecchio vasetto, e la tua faccia mi sorride dalla foto: non posso fare a meno di increspare le labbra. Anche a una distanza tale come quella della morte, il tuo sorriso è sempre contagioso.

    Quando ho finito di rassettare la tua lapide, porto la mano alla bocca, affidando un bacio al freddo marmo, prima di rialzarmi e camminare incurvando le spalle verso l'uscita.

    "Non posso crederci...."
     
    .
  5.  
    .
    Avatar

    Lilith Katherine Tarinen Anya Brunhilde Zorya Odalisa Meliah Persefone Daenerys Allanon Xena Yris

    Group
    Moderatore
    Posts
    1,281
    Location
    Ucraina - Italia, Terra, Sistema Solare, Realtà.

    Status
    Offline
    Il buio era veramente troppo, Greg non poteva fare affidamento sulla propria vista in quel luogo, camminando cercava di sfruttare al massimo gli altri sensi ma non era poi così facile nemmeno per un archeologo esperto come lui, dopo un po’ aveva iniziato a sentire uno strano rumore, gli ricordava un corto circuito oppure il rumore del fuoco nel camino. Proseguendo in quella che sembrava la direzione di quel suono, la luce si intensificava gradualmente, diventando quasi insopportabile, la fonte di essa era uno strano squarcio.
    Gregory non aveva idea di cosa diavolo poteva essere! Era illuminato, misterioso, sembrava una magia e lui ne era assolutamente attratto, senza riuscire a resistere alla propria curiosità, l’uomo era entrato in quel portale anomalo, spuntando in un luogo totalmente diverso.
    Davanti a lui si trovava una struttura simile alle rovine ben mantenute di un tempio ed intorno solo deserto, poteva ancora tornare indietro, ma come avrebbe potuto, gli sembrava che il destino stesso lo avesse spinto in questo luogo e che lì dentro avrebbe potuto trovare la scoperta della sua vita, qualcosa che avrebbe cambiato per sempre la sua concezione dell’esistenza, sarebbe diventato immortale come Giacomo Boni ed altri, poiché avrebbe aggiornato la storia mondiale.
    Preso dall’impazienza e frenesia, l’archeologo era entrato nel tempio, sobbalzando quando una deliziosa voce femminile gli aveva parlato.
    << Fermo, viandante, questo luogo è sacro, non puoi accedervi senza aver risolto il mio indovinello. >>
    Incapace di muoversi, Gregory aveva ascoltato quella voce con un sorriso, chiedendosi se fosse uno scherzo oppure la verità.
    La sfinge senza farsi vedere gli aveva parlato ancora, temporeggiando prima di porre il suo indovinello, era stata sola per così tanto tempo, e ora bramava la compagnia e la conversazione come non mai.
    << È da tanto tempo che nessuno mette piede in questo luogo… >> Aveva tristemente commentato, osservando l’uomo con i propri occhi vigili, era così piccolo, se non fosse stato in grado di risponderle, avrebbe potuto tenerselo lì, colmare la propria solitudine.
    L’archeologo avrebbe potuto ascoltare quella voce per sempre, il tempio e la scoperta erano svaniti dalla sua mente, poiché la dolcezza e la delicatezza di quella misteriosa donna lo aveva colpito fortemente. Lui sembrava capire la sua melancolia.
    << E tu sei sempre qui? Da sola? >> Aveva chiesto con cautela, cercando di capire dove si trovasse e la risposta era arrivata preceduta da dei fruscii.
    << Sono la custode di un luogo sacro, il mio destino è stare sempre qui, a proteggerlo. >>
    Cos’era una dea o una prigioniera?! Qualunque cosa fosse aveva scatenato in lui emozioni mai provate prima, a dire la verità, non capiva come potesse sentirsi così, come un ragazzino curioso, accaldato, voleva conoscerla, scoprire più cose di lei e voleva anche eliminare la nota di tristezza da quella sua voce divina. Non gli era sfuggito il fatto che non gli avesse risposto del tutto ma gli era abbastanza anche la poca informazione fornita per comprenderla.
    Si dava il caso, che Liona poteva leggergli nella mente ed essendo anche lei curiosa, l’aveva fatto, rimanendo colpita dal corso dei pensieri dell’uomo, non riusciva proprio a capire come facesse a trovare la sua voce attraente e come potesse avere voglia di toglierle la tristezza, lei non sentiva di meritarsi tanta dolcezza, era indegna di interesse altrui, aveva fallito così tante volte nel suo unico compito che non riusciva proprio a rispettarsi, eppure… dopo aver sentito cosa stesse provando il suo interlocutore, aveva sempre meno voglia di lasciarlo andare.
    Increduli e curiosi i due avevano cominciato a parlare, a raccontarsi fino a far infuocare le proprie guance e far brillare gli occhi, le passioni, i misteri ed i dubbi erano stati condivisi con un entusiasmo tipico dell’infatuazione e avrebbero continuato ancora a lungo, ma lui, preso dal desiderio di vederla, aveva chiesto alla femmina di mostrarsi a lui, facendo calare il silenzio tra di loro.
    Dopo qualche minuto, lei aveva risposto. << Sono accanto a te, voltati e alza gli occhi. >> Aveva detto piano piano, per nascondere il tremore della propria voce, capiva che una volta vista una sfinge, l’umano sarebbe fuggito via terrorizzato, giravano molte voci sulla sua razza, si diceva che fossero antropofaghe e ossessionate dagli indovinelli… ed era vero, ma lei non aveva mai mangiato umani e ogni suo indovinello era stato risolto.
    Gregory aveva seguito le istruzioni e aveva sgranato gli occhi, non poteva essere vero… ora l’intera esperienza che aveva appena vissuto, gli sembrava solo un sogno, perché solo questo poteva essere. Probabilmente era talmente ossessionato dal suo lavoro, da incontrare nei sogni la sua passione personificata, era sciocco come Pigmalione e pensava che una volta capito questo, si sarebbe di poco a lì, svegliato.
    Questa volta la sfinge aveva deciso di non leggergli nella mente per non rimanere ferita, non più di quanto non lo fosse già, distogliendo lo sguardo, si era messa a passeggiare intorno a lui, come una leonessa intorno alla preda e aveva finalmente posto il suo indovinello.
    << Bene, è arrivato il momento di farti la mia domanda. Un bivio porta a due paesi diversi: in uno ci sono solo persone che dicono la verità, nell’altro solo persone che mentono. Un viandante vuole sapere qual è il paese della verità e, incrociando un uomo che sta venendo da uno dei due paesi, glielo chiede. Che domanda gli fa per sapere con certezza qual è il paese della verità? >>
    Era visibilmente accigliata, l’uomo se n’era accorto e non aveva idea di come comportarsi, il sogno avrebbe continuato fino a quando lei non l’avesse divorato?! Eppure, sembrava il pensiero più logico, dato che tutto quello che era successo fosse talmente irreale, che credervi avrebbe voluto dire accettare la follia della cosa e farci i conti.
    Molto probabilmente, uno volta sveglio, sarebbe andato a cercarsi uno psicologo, era il momento giusto, tuttavia era nel sogno con quella … creatura bellissima, dalla voce più dolce e sensuale che avesse mai sentito ed era curioso di sapere come sarebbe finito.
    << Cosa mi succederà, se non saprò rispondere? >> Aveva chiesto delicatamente, interrompendo i suoi mille pensieri.
    La sfinge non aveva la risposta a quella domanda, avrebbe voluto arrabbiarsi e dirgli che lo avrebbe divorato, spaventarlo ancora di più per ciò che era, ma era solo riuscita a voltarsi e andarsene con le lacrime che scorrevano sul suo viso.
    Incompresa dalle sue sorelle, incompresa da un estraneo con i pregiudizi.
    Spiazzato, Gregory non aveva idea di cosa fare a quel punto, la sfinge se n’era andata, lasciandolo solo con le mille domande, la prima di tutte era “perché fosse ancora sveglio?!” ed era quella alla quale non sapeva rispondere, proprio come alla prova della guardiana del tempio.
    Passandosi una mano sul viso, l’uomo si era guardato intorno, cosa avrebbe dovuto fare? Andarsene? Rispondere rischiando tutto e forse anche la sua stessa vita? D’altronde se era nel mondo di Morfeo, morire sarebbe stato un buon modo per svegliarsi… ma se tutto questo, fosse vero?!
    Quel lontano cruccio lo aveva messo a dura prova, cosa avrebbe fatto se tutto ciò fosse vero? Si sarebbe messo a correre dietro a una creatura mitologica per fare cosa?! Non sapeva in realtà, se dopo averla vista, fosse ancora infatuato di lei come prima, d’altronde… sembrava un animale, era enorme e… Santo cielo! A cosa stava pensando?!
    Solo dentro il tempio, l’archeologo si era seduto dove prima si trovava una zampa di Liona e si era sforzato a svegliarsi, non riuscendoci, aveva cominciato a pensare… a lungo, fino ad addormentarsi.
    La sfinge dopo essersene andata, aveva pianto, si era sfogata e ripresa, a differenza dell’umano, non cercava giustificazioni per le proprie emozioni, sapeva già benissimo di essere un fallimento, poco le importava di piangere, ne aveva versato di lacrime negli anni.
    Non volendo tornare subito da lui, ma desiderosa di sapere cosa stesse facendo, aveva preso il suo specchio della visione, dove avrebbe potuto vedere cosa stesse facendo chiunque all’interno del tempio del quale era guardiana. Soffiandoci dentro, dopo aver sussurrato la formula, la femmina aveva visto l’archeologo che dormiva in una posizione strana e scomoda, cosa che l’aveva fatta quasi arrabbiare, poiché mentre lei stava piangendo, lui aveva deciso di farsi un pisolino senza soffrire affatto della situazione che a lei aveva scatenato tanto malessere, però questo suo strano comportamento dimostrava anche il fatto che non avesse molta paura di lei, solo uno sciocco o un folle (quale egli non sembrava essere), si sarebbe addormentato sentendosi in pericolo.
    Riflessiva, aveva accarezzato la forma dell’umano nello specchio con un dito della propria zampa, per poi battere la coda rabbiosamente sul pavimento, fino a far cadere un vaso per terra, piuttosto che con lui, si adirava con sé stessa, perché si comportava da sciocca anche lei, avrebbe dovuto mangiarlo e raccontarlo a tutte le sue sorelle, sperando di riacquisire almeno un po’ del loro rispetto.
    Liona però scartava a priori quell’idea, non che non avesse fame, semplicemente dopo aver parlato a lungo con quel maschio, dopo averci stabilito una sorta di connessione, non riusciva a pensare a questo, eppure la sua logica diceva che fosse proprio la scelta giusta…

    Il giorno dopo, Greg si era svegliato pieno di dolori, dormire per terra, sulla pietra fredda e scomoda poteva rivelarsi davvero un’idea atroce, per di più sentiva lo stomaco brontolare per la fame, d’altronde era andato a letto senza cena…
    << Un momento… sono sveglio e so-sono ancora qui. >> A questo punto lo studioso non poteva proprio fingere che fosse stato un sogno, doveva ammettere con sé stesso che tutto ciò era reale. La prima cosa che gli era venuta in mente, l’aveva portato ad alzarsi di scatto e a zoppicare verso l’uscita del tempio, ma essere bloccato da una barriera strana che lo aveva trattenuto dentro, come si ci fosse una rete elastica invisibile, più cercava di spingersi fuori e più rimbalzava all’interno, vedeva ancora il portale, ma non poteva raggiungerlo.
    << In cosa diavolo mi sono cacciato!? >> Aveva esclamato il maschio frustrato.
    << Non puoi uscire. >> Aveva sentito la voce famigliare dietro di sé, era la sfinge. << Per lo meno non fino a quando rispondi al mio indovinello e non mi sembra che tu abbia voglia di stare a lungo qui. >>
    Di colpo Gregory si era vergognato, diventando tutto rosso, si era reso conto di come le fosse apparsa la scena, lui che scappava a gambe elevate da lei, ma era umano ed era normale per lui, avere paura, specialmente in una situazione come quella e sebbene provasse cose per lei che non riusciva a spiegare, non sembrava essere abbastanza da offuscare il casino che roteava nella sua mente.
    In quel momento, Liona aveva voglia di spedirlo dentro quel suo portale con un calcio, dopo tutto quello che si erano detti, come poteva scappare così da lei, come se fosse un mostro famelico… il comportamento dell’umano aveva spezzato qualcosa dentro di lei, facendola sentire per la prima volta, in vena di crudeltà.
    Fermi vicino all’uscita, erano stati sorpresi da qualcosa che nessuno dei due si sarebbe aspettato, dal nulla era spuntato un uroboro, l’enorme serpente aveva accerchiato il tempio sibilando, la sfinge capiva la sua lingua, la stava incitando ad uccidere colui che aveva disonorata il suo tempio sacro, venendo meno ai patti, non rispondendo quindi alla sua domanda.
    La creatura che era venuta, era stata richiamata dal destino e dalle scelte che i due avevano compiuto, Gregory aveva deciso di entrare nel portale e poi nel tempio e Liona aveva fatto il suo indovinello, ma non aveva riscosso il debito, entrambi avevano condiviso qualcosa di speciale confidandosi e provando pietà e compassione l’un per l’altra, di poteva dire che fosse uno di quei rari casi di colpi di fulmine… talmente rari, da richiamare una delle creature più mistiche, potenti e sagge.
    Il serpente sacro vorticava intorno al tempio, sembrava un anello senza capo e coda, era veloce e stava creando una vera e propria tempesta di sabbia.
    << Sssbanalo… >> l’aveva incitata la creatura con una voce sempre più sinistra. << fallo oppure ogni cosssa che ami, sssvanirà, morirai sssepolta nel tuo ssstesssso tempio. >>
    In poche parole, uroboro le stava dando un ultimatum, uccidere l’umano oppure morire… Liona aveva poca fiducia in sé stessa e pensava di non valere niente, ma… morire, no, le piaceva la vita, seppure solitaria e all’insegna di nostalgia, solitudine e melancolia, c’erano piccole scintille di felicità, momenti per cui valeva la pena di vivere. Conoscere Gregory era uno di quei momenti, tra i più intensi, come avrebbe potuto fare una scelta?!
    Il maschio non parlava di certo il serpentese, terrorizzato era caduto sulle proprie natiche per il vento forte e si copriva gli occhi con la manica, dalla sabbia che quel mostro aveva scatenato, Liona non era un mostro invece e lui lo sapeva, aveva potuto scorgere la sua anima dolce e tormentata in poche ore di conversazione e lui stava scappando da lei, che probabilmente era la cosa più vicina al destino per lui.
    Lui non era un guardiano del tempio e non era ancorato a nessun luogo, eppure era solo proprio quanto lei, non aveva molti amici e se tali erano, comunque non era mai riuscito a sentirsi a proprio agio con loro, non come era successo con lei, tutto questo doveva significare qualcosa.
    Una parte di lui, rifiutava ancora l’idea di essersi veramente infatuato, lei era enorme ed era più un felino che una donna, era consapevole che non avrebbe mai potuto tocca, baciarla e fare tutte quelle cose che la sua voce carica di sensualità sembrava promettergli. Non c’era futuro per una relazione del genere, ma non poteva neanche prendere in considerazione l’idea di andarsene e dimenticarsi di lei. Sarebbe stata la scelta logica e giusta, tornare alla sua vita normale, dimenticare quei momenti magici e vitali.
    Liona si sentiva messa veramente alle strette, di fronte ad una scelta di difficoltà massima per lei, un ultimatum che mai si sarebbe aspettata di ricevere, il serpente mistico la stava costringendo ad accettare sé stessa in fretta, decidere chi è veramente.
    << Uroboro, non posso farlo! Non posso ucciderlo. >> Aveva finalmente ammesso, piegandosi sulle zampe, come un qualsiasi felino che si sente inferiore rispetto al proprio interlocutore, con quella specie d'inchino non stava chiedendo pietà al Saggio, accettava semplicemente la fine dei suoi giorni. Aveva vissuto a lungo, molte più vite di quell'umano e lui se la meritava molto più di lei.
    Con un solo movimento veloce e conciso, ofide aveva morso alla gola la sfinge, prendendo il suo sacrificio e sparendo nel deserto.
    Terrorizzato, tremante e sotto shock, Gregory Christensen si era avvicinato a Liona, che avvelenata, si stava assopendo, scivolando lentamente per terra, i suoi enormi e bellissimi occhi verdi erano ormai semichiusi.
    << Liona, no! Cosa accade?! >> Le aveva urlato contro lo studioso, gattonando il più velocemente possibile e una volta vicino alla sua faccia ed il collo, aveva tentato di tamponare la ferita, inutilmente, il veleno era in azione e doveva essere letale. << Perché Liona? Come mai non hai combattuto, ti sei lasciata morire, così grande e felina, avresti potuto... >>
    << Ssh... >> Lo aveva zittito lei, morente, parlandogli l'ultima volta con quella voce della quale si era innamorato. << Quello non era un serpente qualsiasi, è una creatura unica e sacra, non avrei mai potuto sconfiggerlo e voleva che ti uccidessi, ma non ci sono riuscita. Io... >> Una solitaria lacrima era scivolata dall'occhio verde che lo fissava languidamente. << Non potevo ucciderti, sei stato l'unico ad avermi compresa. Vai via di qui, attraversa il portale e vivi la tua vita a pieno, vivi come non l'abbiamo mai saputa vivere, lasciati ardere dalle emozioni, innamorati e fai tutte quelle cose folli che avresti voluto. Sei un uomo eccezionale e buono, non mi dispiace morire se questo significa regalarti la vita. >>
    Gregory avrebbe voluto protestare, ma non riusciva nemmeno a parlare, sentiva che il suo cuore si stava spezzando ad ogni sua parola, la sua bontà, il suo gesto, la dolcezza, quella morte... era tutto troppo. Era sopraffatto.
    Non era riuscito a dire nulla, aveva solo pianto con lei, silenziosamente, guardandola spirare.
    Lei era tutto ciò che per lui rappresentava un ideale, era intelligente, misteriosa, affascinante, pura e la sua passione personificata, era la risposta a tutte le sue domande e l'aveva perduta.


    Dopo aver finito tutte le lacrime, l'uomo aveva accarezzato dolcemente il viso della sfinge, si era alzato ed era uscito dal tempio, non vi era più nessuna barriera a fermarlo. Con gambe che sembravano in continuazione sul punto di cedere, Greg era entrato nel portale, che si era ristretto parecchio, ancora di più quando vi uscì, ritrovandosi di nuovo in quella caverna. Non era sicuro di avere la forza e la voglia di andare via di lì, avrebbe voluto fare ciò che Liona gli aveva detto di fare, ma non era per niente certo di riuscirci.
    La luce del portale si era affievolita ancora, insieme ad essa sembrava svanire tutta la sua voglia di vivere, respirare e andare avanti. Aveva visto l'ombra tremare sulla parete della caverna, seguita da un buio, aveva inteso che il portale si era chiuso, ora senza forze e senza luce alcuna, sarebbe dovuto uscire di lì e mantenere un ricordo caldo della sua infatuazione.
    All'improvviso mani calde avevano afferrato le sue, sorpreso e spaventato, l'uomo le aveva strattonate per ritrarle, ma la voce che gli aveva riempito il cuore era risuonata nella caverna buia.
    << Il destino è stato più buono con noi di quanto mi potessi mai aspettare. >>
    Uno schiocco e una luce magica si era accesa in alto, mostrando davanti a lui Liona, con sembianze quasi del tutto umane, era ancora più alta di lui ma solo di una dozzina di centimentri, con il corpo più bello che avesse mai visto, nudo e rosato(fresco di trasformazione), aveva una coda e delle orecchie da leonessa, ma non era più una sfinge e non era nemmeno umana del tutto.
    Avrebbe voluto farle mille domande, ma era riuscito solo ad afferrarla con forza, attirarla a sé tenendola in vita, tastandola con le dita, come per controllare che fosse reale. L'aveva baciata, guardandola prima negli occhi verdi, premendo semplicemente le labbra sulle sue, sentendone la morbidezza ed il calore... dio, era bollente e morbida e gli girava la testa. Dopo qualche piacevole istante, lei aveva dischiuso le labbra, permettendogli di rendere il bacio più intenso.
    Nessuno dei due sapeva cosa avrebbe regalato a loro il futuro, ma per il momento si sarebbero goduti i doni del destino, i più grandi che avrebbero mai potuto ricevere: la vita e l'amore.
     
    .
  6.  
    .
    Avatar

    Senior Member

    Group
    Administrator
    Posts
    12,034
    Location
    Mistero u.u

    Status
    Offline
    Personaggi usati:
    Grimar Faris
    Saraqael Phineas Jansen
    Tarinen dei Tingilinde Aryon

    Narrato
    «Parlato»
    «Trasmissioni»

    Grimar Faris point of view
    Saraqael Phineas Jansen point of view
    Tarinen dei Tingilinde Aryon point of view

    Theme


    Secondo giorno della Guerra contro l'Impero Zantredi…

    Il suo regno stava crollando. Nonostante ciò, intrappolata insieme a lui sotto le macerie del suo palazzo, l’unica cosa che riusciva a pensare era che… non poteva perderlo. Non poteva permettere che Saraqael se ne andasse senza prima aver vissuto insieme a lui quel che entrambi si erano proibiti così a lungo. Con le lacrime che scorrevano incontrollate sulle sue guance, Tarinen, regina degli elfi bianchi di Earendil, si rendeva conto di quanto sciocca fosse stata, di quanto quella stupida etichetta che il suo sangue nobile le aveva cucito addosso l’avesse rovinata. Stringendo tra le dita rovinate per il troppo scavare la mano metallica dell’angelo, non voleva lasciarlo andare via così.
    «Non morite, Saraqael… vi prego, non morite!»
    Lui la fissava dritta negli occhi, le palpebre spalancate negli istanti che precedevano la sua dipartita. Erano così dannatamente belle le sue iridi, dello stesso colore dell’oro fuso. Guardandole, Tarinen non si rendeva conto di nient’altro attorno a loro, non delle esplosioni terribili che all’esterno stavano ancora devastando le sue terre, non delle urla di disperazione del suo popolo, non delle vibrazioni orribili dei bombardamenti, ai quali neanche le difese magiche avevano potuto resistere.
    «M-mi…» rantolò Saraqael.
    «Non parlate!» singhiozzò Tarinen, china sul suo corpo ricoperto di terribili ustioni, il volto quasi irriconoscibile, se non per quegli occhi, quegli occhi che tanto l’avevano ammirata e guardata con adorazione.
    Quello sciocco angelo l’aveva protetta dall’esplosione che aveva devastato il palazzo con il suo stesso corpo. Di quelle splendide ali che l’avevano avvolta, facendole da scudo, ora non rimaneva altro che delle piume bruciate e annerite, oltre che il metallo fuso che le agganciava alla sua schiena, mero sostituto delle reali ali, che da tempo gli erano state strappate.
    Eppure lei le aveva sempre trovate comunque bellissime.
    Lui parve non averla ascoltata: lentamente, con gran fatica, portò la mano destra, quella che lei non stringeva tra le dita, all’altezza del suo volto, regalandole una carezza rovente, perché il metallo si era surriscaldato per via del fuoco. L’indice tentò di asciugarle le lacrime, ma erano troppe per poter essere spazzate via, troppo copiose per riuscire a fermarsi. Le labbra deformate dell’angelo si dischiusero di nuovo, si mossero a stento, mentre lui esalava l’ultimo respiro, le ultime parole…
    «Mia… ama… ta… Tarinen…»
    Tarinen vide la luce abbandonare i suoi occhi in quell’istante, in quel rantolo, in quella frase che avrebbe dovuto sentire molto prima. La mano di Saraqael ricadde a terra, la testa all’indietro. Lei urlò, urlò con quanto fiato avesse nei polmoni, mentre prendeva quel corpo ormai esanime e lo stringeva a sé con tutta la forza che le era rimasta. Il suo bel vestito bianco si tinse del colore del sangue dell’angelo, un viola così scuro da parere nero, come l’oblio in cui lei stava precipitando.





    Otto mesi mesi prima…

    La cosa peggiore che potesse capitargli nella vita.
    Per uno come lui, che non se ne stava mai fermo, che non rimaneva mai nello stesso luogo troppo a lungo, che si vantava d'essere uno dei migliori esploratori dell'avanguardia del suo Impero, ritrovarsi bloccato su quel pianeta sarebbe equivalso a morire lentamente, non di stenti, ma di tedio. Lì, su quelle terre dove ancora usavano pietra focaia e acciarino per accendere un fuoco, lì dove i giganti al massimo coprivano le loro vergogne con brandelli di pelliccia, lì dove persino la conquista non avrebbe potuto aver alcun sapore, poiché troppo facile, priva del brivido della sfida.
    Grimar Faris, Ammiraglio della "Wavecrusher" della XIII Flotta Astrale Zantredi, non poteva smettere di fissare la sua preziosa nave astrale ridotta a delle lamiere in fiamme. Gli occhi spalancati a fissare quel fuoco, che come una belva ruggente sembrava essere sfuggito al suo controllo, finalmente libero di divorare tutto ciò che fosse davvero importante per lo Zantredi. I resti della sua ammiraglia bruciavano e venivano dilaniati dalle esplosioni dei condotti, delle componenti elettroniche, dei serbatoi del carburante, delle granate e dei siluri stipati nell’armeria… o quella che un tempo doveva essere tale.
    Nelle sue iridi rosse quelle fiamme erano riflesse e assumevano le forme di mostri famelici, che con le loro fauci dilaniavano la nave fino a non lasciarne nulla, se non un gelido e inservibile scheletro di metallo. Il fuoco si estese in fretta agli alberi della foresta in cui la sua nave era precipitata. Quando una lingua rovente minacciò d’investirlo, Grimar saltò all’indietro. Le vibrazioni del suo peso su quelle fragili terre scossero gli alberi, che per lui non erano altro che bassi arbusti capaci solo di impicciare i suoi movimenti. Guardandosi attorno, cercò segni di eventuali superstiti, nonostante ricordasse perfettamente di aver dato l’ordine di evacuare.
    Circondato da quell’insignificante groviglio di minuscoli alberi, che tanto ricordavano le foreste del pianeta natale degli umani, l’ammiraglio mantenne saldo il controllo sulle sue emozioni in subbuglio, inspirando lentamente, nonostante il puzzo dei particolati in sospensione e delle piante in fiamme, e tentando di mettere ordine nei propri pensieri, così da iniziare a escogitare un piano per la propria sopravvivenza e, magari, per far sì che i suoi soldati riuscissero a individuare la sua posizione e recuperarlo.


    La regina di Earendil osservò quella cosa senza riuscire a respirare. Non era solo il puzzo del fumo nero che da poco aveva smesso di ergersi, a bloccarle l’aria in gola, ma l’ansia, la paura, l’incredulità, il groviglio indistinto di emozioni che la attanagliavano e che minacciavano di gettarla ancora una volta tra le grinfie di uno dei suoi attacchi di panico. Di fronte ai suoi occhi increduli si stagliava… non sapeva neanche lei cosa fosse quell’accozzaglia nerastra simile allo scheletro di un gigantesco animale. Non assomigliava a nulla che lei avesse mai visto, ma proprio per questo la inquietava, perché era qualcosa fuori dal suo controllo.
    Tarinen volse lo sguardo verso i suoi consiglieri, i quali però le apparivano persino più sconcertati e terrorizzati di lei di fronte a quella mastodontica cosa. Lasciò scorrere le proprie pupille, frenetiche, sui profili appuntiti e aguzzi di quella che appariva una struttura portante di qualche tipo, forse quell’affare un tempo aveva sostenuto delle mura, ma chi mai avrebbe potuto costruire un palazzo così gigantesco nei territori del suo regno senza che lei ne venisse informata?!
    Osservò le guardie reali che, circospette, si avvicinavano ai piedi della struttura in cenere, calpestando la pozza d’acqua nera che un tempo doveva essere stata neve, e che si era sciolta a causa delle fiamme fameliche che solo con il supporto di venti negromanti erano riusciti a domare. Soltanto Ser Saraqael rimase vicino a lei, la regina poté percepirne la presenza dalla tensione che emanava. Lo guardò accigliata, preoccupata per quell’oggetto sconosciuto che, a detta dei testimoni, era caduto dal cielo.
    «E se fosse un messaggio divino? Un avvertimento? Una minaccia?» bisbigliò alla sua guardia del corpo personale, consapevole del suo legame con gli Dei.



    Saraqael non riusciva a credere ai propri occhi. Persino dalle terre da cui proveniva lui, non si vedevano cose del genere. Quello che sembrava lo scheletro di una qualche struttura andata in fiamme, aveva delle proporzioni gigantesche, colossali, mastodontiche, e dubitava sinceramente che sarebbe anche solo stato possibile spostarlo di lì. Sicuramente su quelle terre non esistevano le tecnologie per fare una cosa del genere e lui non poteva chiedere aiuto al suo Dio per una cosa del genere, che non rientrava affatto nei suoi doveri di Apostolo. Lanciando uno sguardo di sottecchi alla regina, la osservò, la ammirò, mordendosi il labbro inferiore di nascosto.
    Era bellissima, come sempre, avvolta in quelle vesti sfarzose e allo stesso tempo semplicemente perfette per lei, in quell’elfico abito bianco, con i pizzi cuciti a mano, le maniche lunghe, che arrivavano a coprirle il dorso delle mani, adornate da motivi di fuori e foglie finemente ricamate da sapienti dita. Così candida in mezzo alla foresta ricoperta di neve, sembrava non solo la regina degli elfi alti di Earendil, ma anche la signora del ghiaccio. Le sue forme sinuose e il suo corpo minuto gli facevano venire voglia di chiuderla in una teca di cristallo, per paura che si rovinasse.
    Non avrebbe dovuto essere lì, in mezzo al nero fango post-incendio.
    “E se fosse un messaggio divino? Un avvertimento? Una minaccia?” la sentì bisbigliare.
    Per gli abitanti del regno di Earendil, quell’ammasso di ferro deforme doveva apparire come un mostro orribile, o come qualcosa di sovrannaturale, di divino, forse un orribile presagio. Saraquael sapeva quanto la sua regina fosse sensibile alle emozioni, quanto fosse ansiosa, quanto odiasse, in fondo in fondo, non avere il controllo della situazione. Per questo non poteva lasciare il suo fianco, per questo non osava avvicinarsi a quella colossale struttura annerita dal fuoco.
    Scosse la testa, i lunghi capelli ramati smossi a quel gesto: «Non riuscirei a crederci, gli Dei non agiscono così, e poi…» alzò lo sguardo dorato sullo scheletro di metallo. «… questo affare… non è di certo opera di un Dio. Solo mani mortali possono creare un simile abominio.»



    Grimar non aveva mai visto quella cosa candida che sembrava ricoprire l’intera foresta. I suoi pesanti passi lasciavano profonde impronte sulla coltre bianca, abbattendo, anche senza volerlo, gruppi di alberi, senza rendersi conto di quanto preziosi essi fossero per gli abitanti del posto, che in essi costruivano le loro dimore e vivevano. Se tentava di raccogliere quella strana sostanza, essa sembrava trasformarsi in acqua purissima e limpida, dato che immediatamente registrò come importante informazione per la propria sopravvivenza.
    Si era allontanato parecchio dal luogo dello schianto, ma solo dopo aver cercato, sfidando le fiamme, di recuperare quel poco che non era andato in fumo. Era riuscito infatti a portare via con sé delle razioni d’emergenza un po’ bruciacchiate e alcuni contenitori che generalmente servivano per la raccolta di campioni, ma che nel suo caso sarebbe stato ben attento a sfruttare per le emergenze. Dopo alcune ore la sete infatti iniziò a farsi sentire e lui, saggiamente, racchiuse un po’ di quella cosa biancastra in uno dei contenitori, scaldandolo poco dopo con la sua affinità elementare, ottenendo dell’acqua.
    Data la sua mole, però, quello stratagemma non sarebbe stato utile a lungo. Doveva trovare una fonte d’acqua più vasta e non aveva idea di come fossero fatte quelle terre. Tuttavia, se le piante crescevano così rigogliose, voleva sicuramente dire che da qualche parte c’era un deposito abbondante da cui quelle forme di vita inferiori attingevano. Decise di seguire lo sviluppo degli alberi, notando come questi crescessero in altezza e imponenza man mano che procedeva in una certa direzione. Fu così che si inoltrò in quella che aveva l’aria di essere una foresta gigante. Se ne accorse solo dopo alcuni minuti: un istante prima gli alberi erano solo un fastidioso intralcio alla sua camminata, un attimo dopo era lui ad essere diventato piccolo e insignificante in confronto a loro.
    Inquietato da quella sensazione poco familiare d’inferiorità, iniziò a muoversi con circospezione. I suoi sensi erano tesi come non mai, mentre procedeva su quelle terre sconosciute. Non poteva sapere quali tipi di creature fossero in agguato tra quei tronchi e quei rami imponenti. Avrebbe potuto essere aggradito da una bestia simile a un A’cat da un momento all’altro, se non avesse tenuto la guardia alta.
    Mai si sarebbe aspettato che ad attaccarlo fossero degli schifosi Miclon.



    Quel che i cacciatori di Earendil avevano catturato non poteva essere definito un Gigante o un Ciclope. Tarinen, se proprio avesse dovuto azzardare, avrebbe pensato di star osservando un Titano, ma neanche di questo sarebbe potuta essere davvero sicura. Di fronte a lei si stagliava l’imponente figura di un essere colossale, dalle sembianze di un umano decisamente fuori scala. Era costretto dalle catene di luce magiche in una posizione contratta, i polpacci legati contro le cosce, le ginocchia piegate, i talloni a premere contro i glutei, la schiena curvata innaturalmente in modo ch’egli aderisse con il petto alle ginocchia, le braccia bloccate dietro la schiena.
    Anche ripiegato su sé stesso a quel modo, incombeva sulla sua minuta e fragile figura, come una colossale e terrificante belva digrignava i denti e la fissava con quegli occhi rossi come il sangue, furioso per essere stato braccato e immobilizzato. Il cuore della regina batteva così forte per il timore che era certa sarebbe potuta collassare da un momento all’altro, il panico già risaliva nei suoi polmoni, facendola ansimare. Una mano gentile le strinse la spalla e lei trasalì, voltandosi di scatto. Saraqael la fissava comprensivo, con le sue iridi d’oro liquido che le trasmettevano sicurezza e fermezza. Grazie a lui, lei inspirò profondamente, riprendendo il controllo del diaframma, poi inchiodò lo sguardo a quello del colosso.
    «Chi sei?» gli chiese, tentando di apparire imperiosa.
    Un istante dopo, l’essere tentò di strattonare le catene, facendo sussultare i cacciatori e le guardie che, collaborando, erano riusciti a portarlo fino a lì, fin nell’angolo più appartato e sicuro di Earendil, nelle nere grotte dove venivano rinchiusi i nemici della patria e le minacce troppo grandi per essere affrontate a viso aperto. Nonostante il tentativo di divincolarsi del gigante, le catene magiche ressero bene, tintinnando sonoramente, ma senza cedere alla sua forza sicuramente spropositata.
    «Rispondi» riprovò, per quanto la voce le tremasse appena di paura.
    «Vi schiaccerò tutti, miserevoli Miclon!» ringhiò il colosso, e la sua voce risuonò per tutta la grotta, facendo trasalire i poveri elfi, lei compresa.
    Tarinen dovette congiungere le mani sul grembo, altrimenti sicuramente il loro tremore si sarebbe notato subito, e lei non poteva proprio permettersi di apparire debole di fronte a quell’essere, al quale sarebbe bastato calpestarla per ucciderla. Dentro, si rendeva conto di non avere alcuna autorità su un simile colosso, lui costituiva una reale minaccia all’incolumità del suo intero regno, il loro unico vantaggio sembrava essere il fatto che questi non fosse minimamente portato per la magia, altrimenti sicuramente avrebbe saputo come annientare un incanto semplice come quello delle catene di luce.
    «Sei tu ad aver portato qui lo scheletro nero provò a cambiare domanda. «Da dove vieni? Perché sei qui?» insistette, non ottenendo risposta. «Ce ne sono altri come te?»
    Non c’era nulla, in quel momento, che le premesse più dell’incolumità del suo popolo.



    Saraqael percepiva il pericolo fin dentro le ossa, fin nei circuiti cibernetici delle braccia, delle gambe e delle ali. Fissando quell’essere colossale provava l’irresistibile impulso di prendere la sua regina per i fianchi e portarla via di peso, contro qualsiasi protesta od ordine, issandosela sulle spalle come un sacco di patate se necessario. Però sapeva che Tarinen non glielo avrebbe mai perdonato e lui non poteva permettersi il suo risentimento. Non perché temesse di perdere il suo ruolo di guardia del corpo, quanto piuttosto perché non avrebbe potuto sopportare l’idea di non sapere cosa accadesse attorno all’elfa.
    «Lasciateci soli.»
    Quell’ordine arrivò alle sue orecchie ovattato e distante, per quanto era concentrato sul gigantoide. La vista delle guardie e dei cacciatori che lentamente sgombravano l’area lo colse quasi impreparato, quasi come se d’un tratto fosse stato catapultato in una orribile situazione e non ne capisse il motivo. Con occhi frenetici li guardò, li seguì nella loro ritirata, senza riuscire a concepire un simile gesto, senza poterlo neanche minimamente prendere in considerazione.
    «Dove state andando?!» ringhiò nella loro direzione.
    «Anche voi, Saraqael.»
    L’angelo la fissò allibito, incredulo, scioccato: «Non posso lasciarvi da sola con questo…!» quadrò il colosso, senza riuscire a trovare la parola adatta per definirlo. «Questo… questo essere
    Lei gli sorrise dolcemente, ma quel gesto fu come una pugnalata dritta al ventre: «Non costringetemi a ordinarvelo seriamente.»
    L’angelo scosse appena la testa, ancora incapace di accettare simili parole. La regina non aveva mai usato il suo potere imperiale sui suoi sudditi, era troppo gentile per fare una cosa del genere, troppo buona per privare gli altri della loro volontà, troppo pura e onesta per sfruttare l’Imperio persino sui suoi nemici, che avrebbe potuto così facilmente sbaragliare. Eppure era disposta a utilizzarlo su di lui, una cosa che feriva profondamente Saraqael, che per lei nutriva molto più che semplice fedeltà.



    Quella minuscola e insignificante Miclon era rimasta da sola al suo cospetto, forte unicamente di quelle catene che gli impedivano di muoversi. Se solo avesse potuto, Grimar avrebbe sicuramente distrutto quel microbo con un solo calcio ben assestato, eppure si trovava inerme di fronte a lei. Non riusciva a capacitarsi di quanto accaduto nella foresta, non voleva né poteva accettare di essere stato sopraffatto da quelle misere creature. Aveva sempre pensato, come tutti i suoi simili, che ci fosse assai da diffidare di chi usava la magia: ora ne aveva la conferma. Quale assurda arte oscura poteva piegare uno Zantredi grande, grosso, fiero e possente come lui in una posizione di simile resa? La sola idea di trovarsi costretto in quel modo gli rendeva davvero difficile controllare la propria ira. Con dei forti strattoni tentò di nuovo di distruggere quelle assurde catene magiche, fallendo miseramente.
    «Hai del fegato, schifosa Miclon, devo ammetterlo» ringhiò a denti stretti.
    Quella microba era infatti stata l’unica a non sussultare né indietreggiare, quando aveva ringhiato e preteso di essere rilasciato, e persino in quel momento, sola di fronte a lui, non faceva una piega, non era trasalita né aveva indietreggiato davanti al suo ennesimo tentativo di sbarazzarsi di quell’orribile costrizione. Lei alzò il mento di scatto, con fierezza, un atteggiamento che non sarebbe dovuto appartenere a un’esserucolo così piccolo e insignificante, ma che stranamente, nonostante la situazione, lo divertiva.
    «Non mi chiamo Miclon né schifosa» la sentì puntualizzare, con quella vocina piccola piccola che faceva fatica a percepire. «Io sono Tarinen, regina degli elfi bianchi di Earendil, sovrana della foresta e delle acque di queste terre.»
    Un titolo altisonante che le avrebbe facilmente strappato quando fosse stato libero di muoversi.
    «Invece, tu sarai “energumeno” o “mostro”. Oppure puoi decidere di dirmi il tuo nome.»



    Il colosso digrignò i denti e tentò di nuovo di forzare le catene.
    La paura era tale che le sembrava di poter svenire da un momento all’altro. Solamente il pensiero di dover proteggere il suo popolo la teneva ancora in piedi, ferma, immobile per il terrore, il respiro lento non per la calma, ma per il timore che, se quell’essere l’avesse sentito accelerato, questo avrebbe potuto aizzarlo contro di lei. Gli occhi erano fissi in quelli rossi del gigantoide non per fermezza, ma perché non riusciva a distoglierli senza che ondate d’ansia la assalissero. Ma questo lui ovviamente non poteva saperlo ed era forse la sua unica difesa in quel momento.
    «Come osi? Io sono Grimar Faris, Ammiraglio della XIII Flotta Astrale Zantredi, il più intelligente, forte e…»
    Il lieve sorriso nervoso che affiorò sulle labbra di Tarinen lo mise a tacere e gli fece stringere le palpebre. Quello sguardo assottigliato puntato su di lei le avrebbe strappato una risatina, se non fosse stata così tesa e impaurita. Le pareva di poter vedere le rotelline del suo cervello muoversi e trarre la loro conclusione da sole. Alla fine il colosso sbuffò, investendola con il suo alito caldo, scompigliandole i capelli e il vestito, e tentò di raddrizzare la schiena, inutilmente date le catene.
    «Hai ottenuto quello che volevi, Miclon, ma non credere di…»
    «Tarinen» lo corresse lei.
    Lui rimase in silenzio alcuni istanti: «Non credere di potermi tenere così per sempre» concluse.
    La regina scosse lievemente la testa: non avrebbe mai voluto imprigionare nessuno, neanche un essere terrificante come quello, in una grotta nuda e spoglia e legato dalle catene magiche in quel modo. Tuttavia i cacciatori si erano visti costretti a bloccarlo così, evidentemente perché altrimenti lui avrebbe potuto attaccargli lo stesso, se non addirittura liberarsi. Lo osservò attentamente, scrutando il suo corpo possente ricoperto di quella strana e scintillante armatura d’oro, annerita in diversi punti, come se si fosse gettato tra le fiamme di un incendio.
    Lasciò che gli occhi risalissero sul volto, notando come non avesse nulla di grottesco come un comune Gigante, avrebbe detto si trattasse di un Titano, ma persino per loro quell’uomo era un colosso. Il viso dai lineamenti cesellati e virili, non era affatto brutto, anzi, possedeva una strana beltà, esotica, specialmente considerati quelle iridi rosse e i capelli color dell’oro. L’espressione, tuttavia, aveva un che di austero e freddo, come se tenesse rinchiuse le sue emozioni, o per lo meno tentasse di farlo. L’orgoglio che traspariva dal suo sguardo le diceva che non sarebbe stato facile ottenere le informazioni che le servivano per proteggere il suo popolo.
    «Se risponderai alle mie domande, ti libererò.»



    Saraqael aveva camminato avanti e indietro di fronte all’entrata della grotta così tante volte da aver lasciato i segni del proprio passaggio sul terreno. Si era passato le mani tra i capelli abbastanza spesso da assumere l’aspetto di un selvaggio. Le guardie di cui era il capo lo fissavano come se fosse una belva nervosa pronta a scattare, ma allo stesso tempo con comprensione, perché molti di loro sospettavano da tempo cosa lo legasse alla regina die Earendil. Altrimenti perché mai sarebbe rimasto, dopo aver completato l’incarico affidatogli dal suo Dio? Erano trascorsi anni da quando Alexander gli aveva ordinato di proteggere Tarinen durante la guerra contro gli elfi neri, ormai dominava la pace nel regno, eppure lui era ancora lì.
    Smise di solcare il terreno quando delle vibrazioni inquietanti lo fecero tremare. Bloccandosi e voltandosi di scatto verso l’entrata della grotta, dispiegò le ali meccaniche, pronto a spiccare il volo ed entrare non appena avesse percepito un qualsiasi segno del fatto che la sua regina fosse in pericolo. Tuttavia ciò che uscì da quell’antro oscuro non furono le grida di terrore di Tarinen, ma la sua figura, così elegante, così bella e immacolata… con al seguito il colosso d’oro. Lui e le sue guardie sobbalzarono all’indietro, portando prontamente le mani alle armi, ma furono bloccati dal cenno dell’elfa bianca.
    «Non temete, miei fedeli cavalieri. Ser Grimar non ha intenzioni ostili.»
    Saraqael alzò lo sguardo sul volto di quell’essere gigantesco, incredulo di fronte alle parole della donna. Quell’affare avrebbe potuto facilmente schiacciarli tutti con uno solo dei suoi piedi, eppure lei era tranquillissima in sua vicinanza. Non poteva credere a una cosa del genere e il suo istinto gli urlava in ogni modo di volare fino a lei, prenderla e portarla il più lontano possibile da quella minaccia bipede.
    «A quanto pare, Ser Grimar è l’esponente di una razza che vive lassù, oltre la volta celeste» spiegò sommariamente Tarinen. «Lì hanno navi enormi in grado di trasportarli, ma la sua è stata brutalmente attaccata dall’Impero, precipitando qui in fiamme. Sarà nostro ospite per qualche tempo.»
    Bisbigli di meraviglia e stupore percorsero le guardine, ma Saraqael non disse nulla, non fece nulla, rimase solamente a fissare la sua regina in faccia, scrutando attentamente quegli occhi che aveva imparato a leggere e amare. E in quello sguardo vide che lei non era del tutto sincera, che qualcosa la turbava, la spaventava, e non aveva assolutamente nulla a che fare con l’avere quel colosso alle proprie spalle.



    Tarinen oltrepassò la soglia della porta delle su stanze private cercando di mantenere quella parvenza di calma fino alla fine. Dietro di lei, solo Saraqael era rimasto, dopo aver ordinato alle guardie di tenere d’occhio Ser Grimar, al quale ancora doveva essere fornito un luogo dove dormire in comodità. Forse proprio perché non vista da nessun altri che lui, la regina infine si lasciò andare. Le gambe tremanti le cedettero, lei stava per crollare riversa a terra, ma ecco che le braccia forti e di gelido metallo dell’angelo la sorressero, afferrandola una per la vita, l’altra sotto l’ascella.
    «Mia regina…» sussurrò lui. «Non avreste dovuto esporvi in quel modo.»
    Lei scosse la testa: «No, no… Saraqael, solo così potevo ottenere le informazioni per proteggere il mio popolo.»
    Lui la accompagnò fino al letto, con la sua solita delicatezza la fece sedere e poi, inginocchiandosi di fronte a lei, con le ali piegate sulla schiena, iniziò a slacciarle gli stivaletti elfici. Tarinen lo fissò, consapevole di cosa si agitasse nel suo cuore. Sapeva dei suoi sentimenti per lei da anni ormai, da quando, finito il lavoro che gli aveva affidato il suo Dio, l’angelo aveva comunque continuato a rimanere al suo fianco. I primi tempi si era odiata, perché, nonostante non potesse ricambiarlo, aveva lasciato che lui seguitasse a servirla, che la amasse a modo suo, con quell’insita timidezza che gli aveva sempre impedito di confessarsi apertamente.
    «I maghi del regno devono essere chiamati a raccolta» mormorò esausta, fissando quelle dita cibernetiche che lacciavano il secondo stivaletto.
    «Perché?» le chiese lui, nonostante il suo non alzare gli occhi le suggerisse che già conosceva la risposta.
    «Quel colosso… non è solo. È membro di una flotta, anche se non lo ha detto apertamente. Sicuramente l’Imperatore Almand Virand ha attaccato la sua nave per questo: Ser Grimar fa parte di una forza d’invasione. Se non lo avessi liberato, saremmo finiti invischiati nel conflitto, tuttavia… se davvero Ser Grimar proviene dalle stelle, dobbiamo comunque prepararci al peggio.»
    Saraqael le sfilò il secondo stivaletto con delicatezza. Lei ignorò deliberatamente la sensazione del tocco delle sue mani metalliche sul polpaccio e sulla caviglia, ignorò il brivido che le percorse la schiena, ignorò il fatto che gli stava concedendo il sublime piacere di un contatto, per quanto si fosse sempre domandata come lui potesse percepirlo con quelle strane protesi. L’angelo le aveva raccontato come avesse perso gli arti e le ali, come gli umani che lui e la sua gente avevano curato fossero tornati con un esercito e avessero massacrato tutti, compresa la donna che amava allora.
    Scrutandolo, non poteva fare a meno di chiedersi quanto potesse toccarlo la faccenda di Ser Grimar.



    Non avrebbe permesso che accadesse di nuovo.
    Avrebbe preferito morire piuttosto che perdere la sua regina.





    Sette mesi dopo quei fatti, un mese prima dell'inizio della Guerra…

    «Ottimo lavoro, Ammiraglio Faris.»
    Grimar avrebbe voluto spaccare la faccia al Grandammiraglio Supremo per averlo definito semplicemente Ammiraglio e aver ignorato i suoi vari titoli nobiliari, ma riuscì a mantener salda la presa sulle sue emozioni soffocandole come si confaceva a un Zantredi del suo calibro. Chino nella riverenza militare, osservava l’oloproiezione del capo dell’intera flotta dell’Impero con un misto d’invidia e malignità. Un giorno, presto, sarebbe stato lui al suo posto, chissà, magari quel fetente sarebbe morto proprio nell’imminente battaglia.
    «So che avete perso la vostra ammiraglia nella missione di ricognizione…» fece annoiato il Grandammiraglio. «Immagino sia stato un terribile dolore per voi.»
    «Avevo tenuto da conto che sarebbe potuto accadere.»
    «Vero, nei registri si accenna a una simile possibilità, oltre che alla vostra missione secondaria… avete raccolto davvero molte informazioni sui nemici negli ultimi sette mesi. Squallidi Miclons che credono ancora negli Dei… e questa questione della magia, poi… inconcepibile. Il livello tecnologico, però, e la distribuzione delle ricchezze, è davvero una caratteristica unica nel suo genere.»
    Grimar annuì: «Sì, il pianeta è ripartito tra sei nazioni, ma le uniche davvero pericolose per noi sono la Federazione e l’Impero, uno di questi due ha sicuramente abbattuto la Wavecrusher.»
    «Allora sarete voi a capitanare l’assalto contro quelle terre.»
    Grimar sogghignò: «Ve ne sono grato.»
    «Anzi, comanderete l’intera operazione.»
    A quelle parole, il colosso vestito dell’armatura dorata sbatté le palpebre. Questo avrebbe voluto dire che avrebbe dovuto gestire l’intero attacco, che avrebbe avuto pieno controllo sulle sorti del pianeta nemico, che anche il regno della regina Tarinen sarebbe stato sotto il mirino dei cannoni della sua nave.
    «Credete di potercela fare? Sette mesi su quel pianeta…»
    «Qualsiasi cosa…» sussurrò Grimar.
    «Ammiraglio Faris?»
    «Qualsiasi cosa…» ripeté alzando la voce. «Qualsiasi cosa, per amore dell’Impero.»


    Edited by Sorte (Master) - 17/2/2020, 11:51
     
    .
  7.  
    .
    Avatar

    Junior Member

    Group
    Ex Fantarsyano
    Posts
    90
    Location
    Fermignano

    Status
    Offline
    C'è una sola cosa da vedere nel parallelo chiamato la gola del capriccio. È chiamata la dimora di Kheynra, ed è la fortezza del Dio del Caso. È un luogo più ampio di quanto mente umana possa concepire, e come ogni dimora che si rispetti ha i suoi abitanti.
    L'unico abitante al momento è Kheynra.
    Ci sono molti luoghi nella dimora del Dio del caso, un essere umano potrebbe perdersi in essi, invecchiare e morirne all'interno senza tornare mai sui suoi passi.
    Kheynra si trovava nell'unico luogo che al momento avesse importanza.
    La Sala degli Specchi.
    All'interno della stanza il Dio del Caso consultava passato presente e futuro di tutti gli esseri viventi, sebbene al momento la sua attenzione fosse focalizzata su uno di essi.
    L'oggetto delle sue attenzioni si chiamava William Allanon Graubert. Gli specchi erano concordi, succederà qualcosa di importante, e scatenerà una catena di eventi che provocheranno cambiamenti e inquietudine.
    Kheynra consultò il passato, perché in esso erano racchiuse la gran parte delle motivazioni dietro gli accadimenti del futuro. Osservò il passato e tutto gli fu chiaro.
    Kheynra allora consultò il presente, perché esso è l'unico momento veramente importante, cercando di capire i risvolti della catena di eventi che si erano messi in moto. Ora sapeva cosa doveva fare.

    “Ora farò qualcosa che ti recherà molto dolore William, ma così dev'essere.”

    William si trovava nella cittadina di Urius, alla ricerca di risposte che non avrebbe trovato. Ora a due giorni dal suo arrivo lo avrebbe sorpreso un violento acquazzone.

    E questo era quanto.

    Consultare il futuro non avrebbe senso, perché conosceva già il risultato delle proprie azioni.

    ***

    Riguardo alla permanenza nella cittadina di Urius, William non nutriva grandi speranze. Aveva viaggiato per sette giorni per raggiungerla, spinto solo da alcune dicerie riguardo ad alcuni antichi tomi che sarebbero stati custoditi nella biblioteca cittadina e che l'ibrido sperava di poter consultare nella speranza che essi potessero aiutarlo nella sua ricerca.
    Urius era una piccola cittadina, il cui unico punto di forza era quello di trovarsi posiziona su di una via molto trafficata, era molto diversa dalla città che William si era immaginato. Gli sembrò difficile credere che in un luogo simile si potesse celare la conoscenza a cui anelava, ma visto il lungo viaggio decise di tentare. Affittò una stanza nell'unica locanda della città e si diresse verso il centro cittadino alla ricerca della biblioteca.
    Una piccola folla era radunata nella piazza cittadina. Incuriosito, l'ibrido si fece largo a cavallo di Rutilia e raggiunse la prima fila.
    L'oggetto di tanto trambusto era una ragazza zoomorfa. Un saltimbanco, impegnata a far volteggiare tre trottole, una sopra l'altra contemporaneamente. Con una sola mossa la ragazza fece fermare le trottole e si inchinò davanti al pubblico.

    «Grazie. Grazie. Sono felice di avervi allietata con la mia esibizione. Adesso vogliate dar prova del vostro gradimento!»

    Alcuni presenti si misero in fila per gettare qualche spicciolo nella ciotola posta di fronte alla ragazza, mentre la maggior parte dei presenti si allontanava per tornare al proprio lavoro. William si mise in fila per ultimo, deciso a ricompensare la bravura della zoomorfa.

    «Grazie. Grazie.»

    William lasciò cadere tre monete nella ciotola, la ragazza gli rivolse un sorriso e fece un inchino.

    «Grazie, siete un uomo molto generoso.»

    William ricambiò il sorriso e si avvicinò di un passo.

    «Mi chiamo William, e lei è-»
    «Rutilia, sì me lo ha detto prima.»
    «Già è una chiacchierona, dove avete imparato quest'arte?»

    «Quando ci si riduce a vivere del proprio ingegno, bisogna imparare quanto più possibile. Una ragazza deve darsi da fare per tirare avanti. Ho anche un discreto talento come cartomante, se volete posso leggervi le carte.»

    «Ne sarei felice, ma purtroppo vado di fretta, sapreste indicarmi la direzione per la biblioteca cittadina?»

    «Da quella parte, proprio dritto in fondo alla strada.» Indicò l'edificio dal tetto rosso. «Magari posso farvi un ritratto, sono abbastanza brava.»
    La ragazza indicò i quadri appesi alle sue spalle che rappresentavano ritratti di vari paesaggi naturali.

    «Grazie per la gentilezza, ma devo rifiutare. La prossima volta.»

    Detto questo William si diresse verso la biblioteca.

    ****

    Nel vederlo andare via Clara emise un sospiro di rammarico.

    “Sembrava proprio un brav'uomo. Gliel'ho rubato a malincuore il borsellino.”

    Con un sorriso sul volto si mise a raccogliere le proprie cose. Con la mano andò a soppesare il borsellino appena rubato. Era gonfio e pesante, forse quell'uomo doveva venire da una famiglia ricca.

    “Strano però, le persone di quel tipo non sono così affabili. Ma non importa, del resto una ragazza deve darsi da fare per tirare avanti.”

    Clara raggiunse il granaio che aveva affittato a un contadino che viveva nella periferia fuori città. La ragione dietro questa scelta era che la locanda era troppo cara per i suoi gusti e si trovava molto più a suo agio nella solitudine del granaio rispetto alla confusione della locanda. Un'altra ragione ben più importante era che per una ragazza non era saggio stare troppo vicina agli uomini che aveva appena derubato.

    Quel giorno però non era sola nel granaio.

    «Ehi, ti ho vista all'opera, oggi in città.»

    «Il modo in cui hai raggirato quel bell'imbusto, è stato divertente.»

    «Non so nemmeno di cosa stai parlando ragazzo.»

    «Oh, chiamami Jade e non restartene così sulla difensiva. Dovresti goderti questo momento di deliziosa contrattazione, non sono qui per litigare, anzi tutto il contrario!»

    «Vedi quell'uomo ha qualcosa che mi serve e si da il caso io abbia qualcosa che serve a te.»

    Dopo aver pronunciato quelle parole Jade allungò la mano verso Carla e le mostrò una manciata di rubini.

    «Ne ho altri per te se mi porterai ciò che ti chiedo. Pensaci! Basta fughe da una città all'altra, basta rischiare la pelle ogni giorno per non morire di fame. Devi soltanto rubare una cosa che pensa la coincidenza, quell'uomo porta proprio con sé.»

    Clara non riusciva a staccare gli occhi dai rubini. Quello che il ragazzo stava dicendo era vero, era stanca di scappare, stanca di nascondersi e di vivere ai margini di una società che la disprezzava. Quella poteva essere la sua occasione per lasciarsi quella vita alle spalle, realizzare i propri sogni e smettersela di preoccuparsi delle guardie, o di non riuscire a guadagnare abbastanza per sopravvivere. Alla fine quell'uomo sembrava ricco, anche se gli avesse preso qualcosa di valore non rischiava certo di morire di fame.
    Lei invece sì.

    «Cosa devo prendere?»

    ***

    Il giorno seguente, William raggiunse la biblioteca in prima mattinata, deciso ad approfondire le proprie ricerche. Le voci che gli erano giunte dicevano il vero, c'erano diversi tomi che meritavano uno studio approfondito e per questo aveva preso accordi con il gestore della locanda, il quale lo aveva indirizzato verso un abitante del luogo che gli aveva affittato una modesta abitazione ricevuta in eredità ad un prezzo ragionevole. L'abitazione si trovava vicino al centro cittadino, perfetto per William che poteva così raggiungere comodamente la biblioteca.

    Quando le prime gocce di pioggia iniziarono a battere sulle finestre l'ibrido non si sorprese, il tempo minacciava pioggia fin dal giorno precedente. Era un rumore forte e martellante, come se centinaia di sassi stessero colpendo simultaneamente tetto e finestre. William riuscì a malapena a percepire un debole lamento provenire da fuori la biblioteca.
    Chiuse il libro e si mise in ascolto: gli sembrava proprio di sentire qualcuno, poi udì delle grida e allora uscì dalla biblioteca e vide accasciata sul terreno, la fanciulla zoomorfa. Su di lei stava un uomo che con il proprio peso l'aveva costretta a terra e cercava di strapparle la borsa dalle mani.

    «Che sta succedendo?»

    L'uomo si voltò di scatto verso di lui, aveva il volto trasfigurato dalla rabbia. «Non sono affari tuoi!»

    L'uomo sguainò un coltello nascosto sotto il mantello e colpì la fanciulla al volto, ma William con uno scatto felino bloccò il braccio dell'uomo a mezz'aria e con un gesto secco gli torse il polso fino a romperglielo.
    L'uomo gridò di dolore, William lo sollevò di peso e gli intimò di allontanarsi minacciandolo di rompergli ben altro oltre il polso se avesse fatto parola con qualcuno di quanto accaduto. L'uomo dimostrando più sale in zucca del previsto annuì piagnucolando e corse via.

    «La caviglia...»

    Mentre l'aiutava a risollevarsi e la conduceva verso l'appartamento dove sarebbero stati al riparo dalla pioggia, William non poté fare a meno di notare due cose: la bellezza delle sue fattezze e il movimento quasi impercettibile con cui la fanciulla gli rubò la pietramens da sotto il mantello.

    «Mi chiamo Clara. Gli disse. Quel bastardo mi ha aggredita senza motivo. Diceva che avevo rubato il bracciale di sua moglie! Gli disse, seduta davanti al camino, mentre si asciugava gli abiti e il pelo fradici. Come se io potessi rubare qualcosa di così pacchiano, nemmeno ci proverei, perché rischiare per qualcosa che non vale nemmeno una moneta bucata. Ma credete che le guardie mi ascolterebbero? Certo che no, sono solo una lurida saltimbanco, poco più di una schiava. »

    La fanciulla raccontava la sua disavventura rifocillandosi con una ciotola di riso e un piatto di carne.
    Mangiava avidamente, afferrando la carne con le zampe e affondando il cucchiaio nel riso, senza mai smettere di fissare William con i suoi occhi d'un verde intenso.

    «Non c'è tempo da perdere. Devo fuggire prima che le guardie vengano a prendermi.» Disse lei poggiandogli la mano sulla sua.

    Clara si alzò, si avvolse nel mantello asciutto e si diresse verso la porta.

    «Allora sarà meglio che partiate subito, fece William con un sorrisetto appena accennato agli angoli della bocca. Ma prima devo chiederti una cosa.»

    «Cosa volete chiedermi?»

    «Puoi dirmi come mai ora riesci a camminare? Non ti eri slogata la caviglia?»

    «Io... ecco mi ero solo fatta male, non riuscivo a camminare per via dello spavento.»

    «Capisco, allora non voglio trattenerti oltre, ma prima di andare gradirei riavere ciò che è mio. Disse e con un balzo bloccò l'uscita della stanza. Sono un uomo generoso e posso passare oltre sul furto di un borsellino, ma la pietramens mi serve, non posso farne a meno.»

    A quel punto Clara fece una smorfia e lasciò cadere la pietramens sul pavimento.

    «Se te n'eri accorto perché mi hai portata qui?»

    A quella domanda William fece spallucce.

    «Non potevo certo lasciarti fuori con quel temporale.»

    Clara gli lanciò uno sguardo di sdegno prima di precipitarsi fuori dall'abitazione.

    Quella notte William fu disturbato da una voce che gli sussurrava all'orecchio.

    «Vorrei chiedervi perdono, ho cercato di ingannarvi, non lo meritavate.»

    William non rispose.

    «Mi avevano proposto molto per la vostra pietra, qualcosa che per me significava molto. Ma ora non ha più importanza. Disse la voce della fanciulla. È vero, sono una ladra e se vorrete mi consegnerò alle guardie, o abbandonerò questa città per sempre.»

    «Resta.» Disse William. «Ma d'ora in poi guadagnati da vivere onestamente.»

    «Ci proverò.» Sussurrò la voce.

    Quella stessa mattina William trovò Clara intenta a dipingere un ritratto ad un viandante di passaggio. Lei non gli rivolse nemmeno uno sguardo, ma la sua vista lo fece sorridere.

    William non sapeva che Clara si era perdutamente innamorata di lui dal momento in cui l'aveva lasciata andare, o forse anche prima, quando l'aveva portata nella sua abitazione, vicino al fuoco, per ripararla dalla pioggia.

    Nei giorni seguenti Clara avrebbe voluto parlare con William, fargli capire cosa provava per lui. Ogni volta si avvicinava e ogni volta il coraggio per confessarsi veniva meno. Era una ladra, non aveva alcuna possibilità di poter essere ricambiata. O almeno questo era quello che pensava.

    Se William fosse stato più attento forse si sarebbe reso conto dei sentimenti della fanciulla, forse tanto dolore si sarebbe potuto evitare. O almeno questo era ciò che Kheynra supponeva.

    Quando Clara terminò l'ultimo infruttuoso spettacolo era ormai notte fonda. Era luna nuova e le tenebre avvolgevano ogni cosa. Era una notte fredda e silenziosa, c'era qualcosa nell'aria che la rendeva inquieta e così Carla decise di tornare subito al granaio, senza fermarsi. Quando arrivò sentì lo scalpitio degli zoccoli e il parlare sconnesso di Rutilia, era successo qualcosa, ne era certa e così si precipitò subito nel granaio.
    Per poco Rutilia non la colpì con gli zoccoli tanto era agitata e a Clara servì qualche minuto per riuscire a tranquillizzarla e a capire cosa stesse dicendo.

    «Che cosa ci fai qui, dov'è William?»

    « Ho visto un uomo con un serpente.»

    «Cercava te. Voleva ucciderti, per prenderti la pietra del mio compagno.»

    «Calmati, dimmi esattamente cosa ha detto parola per parola.»

    Rutilia sbuffò un paio di volte e calpestò il terreno, nervosamente, era una cavalla molto intelligente e le parole dell'uomo erano rimaste impresse a fuoco nella sua mente.
    «Ha parlato con il serpente. Trova la prietramens, portamela e uccidi colui che la possiede. Ha detto così.
    Clara si sentì il cuore in gola. Lo avrebbe ucciso! Non poteva permetterlo. Montò in groppa a Rutilia e la cavalla galoppò più veloce di quanto abbia mai fatto prima, non si sarebbe fermata nemmeno se il cuore gli fosse esploso, o se cento demoni le avessero bloccato la strada.
    Cavalcò e raggiunse la casa del proprio compagno.

    «Andiamo!»

    Clara sfondò la finestra e quello che vide le fece mancare il respiro. William giaceva a terra, rigido, un bicchiere ancora stretto in mano, la pietramens nell'altra.
    Clara si precipitò su di lui e con enorme sollievo constatò che respirava ancora, stava solo dormendo. Doveva svegliarlo, metterlo in guardia, ma il tempo era contro di lei.
    Il sibilo del serpente la fece voltare di scatto verso la finestra. Era troppo tardi.
    Il serpente strisciava tra le ombre, le zanne ricurve pronte a colpire.
    Clara impugnò il pugnale che portava al fianco, ma non poteva fermarlo, lo capì nel momento in cui lo vide. Quell'essere non apparteneva a questo mondo, non si sarebbe fermato fino a quando non avesse compiuto la sua missione. Allora decise che così sarebbe andata.
    Si avvicinò a William e gli strappò di mano la pietramens.
    Il serpente allora eseguì il proprio comando e la morse al collo. La fanciulla nello stesso momento sferrò il proprio attacco e tranciò il serpente in due, non prima però che il letale veleno venisse iniettato.

    Jade era piuttosto soddisfatto di sé. Anzi, era molto soddisfatto, estasiato dalla magnificenza della propria opera. L'idea iniziale era quella di usare l'insulsa zoomorfa per raggirare quel povero fesso di William, ma quell'incapace non era stata in grado nemmeno di raggirare un ingenuo come William. Poco male, aveva pensato, lo scopo non era mai stato quello di rubargli la pietramens, non quello principale almeno. La povera zoomorfa era solo un'esca, un diversivo di cui Jade aveva approfittato per poter avvelenare il vino dell'ibrido senza che questi se ne rendesse conto concentrato com'era con quella ladruncola.
    Jade prese a mordicchiarsi il pollice fino a farlo sanguinare.
    William sarebbe morto se non fosse stato per quell'impicciona e la cosa aveva lasciato Jade perplesso, si chiese perché mai quella ladra sia arrivata addirittura a sacrificare se stessa pur di salvarlo. Non aveva senso, un comportamento folle! Irrazionale!
    Un sorriso sadico comparve sul volto di Jade.
    Eppure questo avvenimento aveva prodotto risultati inaspettatamente favorevoli. Avrebbe avvolto il cuore di William nell'odio e nella disperazione, lo avrebbe distrutto e offerto in dono al suo padrone. Un giocattolo rotto, per compiacere il suo Dio.

    «AndIAmO!»

    Jade si mise in piedi e si stiracchiò le braccia. Era ora di presentarsi al buon William.

    Ci vollero diverse ore affinché il veleno di Jade finisse il proprio effetto e William riuscisse finalmente a risvegliarsi. Quando aprì gli occhi la luce del sole lo costrinse a chiuderli immediatamente, aveva la testa pesante e si sentiva un sapore amaro in bocca. Come nella peggior sbornia della sua vita, pensò. Solo che non aveva bevuto altro che un bicchiere di vino.
    Gli ci volle qualche istante per mettere a fuoco la stanza e accorgersi del corpo di Clara che giaceva riverso a terra.
    William sgranò gli occhi e si precipitò su di lei. Era fredda e respirava debolmente. Il segno del morso sul collo, il pelo sporco di sangue attorno ai fori d'entrata dei denti.
    L'ibrido provò subito a utilizzare ogni arte, ogni incantesimo di cui disponeva, ma nulla sembrava avere effetto. Qualunque veleno le fosse entrato in circolo era qualcosa di più forte di quanto William avesse mai visto.

    «Non puoi svegliarla.»

    Wiliam si voltò di scatto e vide Jade accovacciato sulla finestra. Aveva un sorriso sadico stampato sul volto.
    «Lascia che mi presenti, sono Fineas della Rosa Bianca e del Sangue, ma puoi chiamarmi Jade. il Primo Apostolo del Dio dell'Oppressione Moya.
    Quelle parole trafissero William come fossero lame. Non poteva essere vero, il ragazzo stava per forza mentendo. Non riusciva a capacitarsi di quanto stesse accadendo e il pensiero che il nuovo primo apostolo del Dio verso cui tutt'ora provava una così profonda stima avesse cercato di ucciderlo era troppo doloroso per l'animo dell'ibrido. Ma era tutto vero, in cuor suo William lo aveva compreso nel momento stesso in cui lo aveva visto: quell'aura innaturale, la pressione inumana che proveniva dal ragazzo. Come una marea nera che avvolgeva ogni cosa attorno a lui.
    Sentì l'odio montargli dentro, crescere nella sua mente e una voce dentro di lui iniziò a gridargli di vendicarsi e di uccidere quel mostro. William però non cedette e riacquistò la padronanza di sé.

    «Cosa le hai fatto?»

    Jade si strinse nelle spalle e assunse un'aria innocente.

    «Non volevo farle nulla, dico sinceramente. Dovevi esserci tu lì morto stecchito, se così non è stato lo devi a lei.»

    «Maledetto, te la farò pagare!»

    «Il morso del mio serpente le concederà tre giorni, dopodiché morirà. Se vuoi salvarla devi affrontarmi caro William.

    «E così sia!»

    William afferrò la fedele HarpyGrom e si lanciò contro Jade trafiggendolo al petto. Il ragazzo emise una risata roca, prima di dissolversi in una nuvola nera.
    Jade che per tutto il tempo era rimasto all'esterno dell'abitazione iniziò a ridere e disse: «Troppo facile, William!»

    Una massa oscura si sollevò ai piedi di Jade, prendendo la forma di un'immensa idra a nove teste. William capì subito che quella non era una semplice illusione e ne ebbe la conferma quando il serpente sfondò l'abitazione a fianco della sua. La gente della città si era precipitata in strada, attirata dal trambusto e ora stava fuggendo dalla creatura che minacciava di distruggere ogni cosa.
    William non poteva permettere che quell'essere continuasse a vivere, non poteva permettere che continuasse a infangare il ricordo che aveva del suo Dio! Ogni suo respiro, ogni battito del suo cuore era un insulto a lui e a tutto ciò che aveva sempre onorato e difeso!
    Invocò e condensò un'enorme quantità di potere d'ombra, dandogli la forma di un giavellotto. Avrebbe spazzato via sia l'idra che il ragazzo e si sarebbe vendicato!
    Si mise in posizione, pronto per scagliare il giavellotto d'energia, ma un momento prima di farlo si bloccò. Farlo avrebbe significato uccidere molti innocenti, non lo avrebbe mai fatto, nemmeno per uccidere un mostro di tale portata. Commettere un tale gesto avrebbe significato insultare l'onore della fanciulla che lo aveva salvato, andare contro tutto ciò in cui aveva sempre creduto. Sarebbe morto piuttosto che rinnegare i suoi valori, questa era la sua scelta.
    Non avrebbe mai potuto svendere così la gentilezza di quella fanciulla.
    Impugnò il giavellotto e caricò l'idra: la bestia provò ad azzannarlo, ma William fu più veloce, ad ogni colpo una testa dell'idra esplodeva, dissolvendosi. Alla fine affondò il giavellotto nell'ultima testa eliminando la creatura.
    Nello stesso momento una lama d'ombra lo trafisse alle spalle, andandosi a conficcare nel suo fianco fino a trapassarlo.

    «Per un momento William, un solo momento ho pensato potessi diventare il mio giocattolo. Peccato.»

    «Già, peccato!»

    William concentrò il proprio elemento al centro delle spalle, andando a creare una sfera che in una frazione di secondo si espanse in un'onda d'urto che spazzò via Jade. Prima che potesse reagire l'ibrido trafisse con la spada la spalla di Jade.

    «Sei vinto, ora dammi l'antidoto altrimenti ti ammazzo come il cane che sei.»

    A quelle parole il volto di Jade assunse una smorfia divertita.

    «Ahahah! Fai sul serio?»

    «Credevi veramente che avessi un antidoto? Falle un favore e tagliale la gola, così smetterà di soffrire.»

    Dopo aver pronunciato le ultime parole, Jade scoppiò a ridere, una risata spezzata dal gorgogliare del sangue che risaliva lungo la gola e gli invadeva la bocca. Il ragazzo continuò a ridere, mentre la vita lo abbandonava. Dopotutto per lui la morte non era un problema insormontabile.

    William tornò nella propria stanza e si inginocchiò di fronte a Clara. Provò nuovamente a curarla, ma senza ottenere alcun risultato.
    In quel momento un portale si aprì alle spalle dell'ibrido e Kheynra si materializzò davanti a lui.

    «Tutto è andato nel modo in cui era giusto andasse.» Disse osservando la fanciulla stesa a terra.

    «Lei morirà!»

    Il Dio del Caso annuì.

    «Una vita doveva essere presa. Ha scelto lei quale delle due.»

    «Ci sei tu dietro tutto questo. Non dovevi farlo, non dovevi coinvolgerla! Potevi aiutarla.»

    «Ho fatto tutto quello che potevo per il bene di tutti. Gli eventi hanno preso la piega che voi avete deciso di dargli. Posso però concederle un momento, per darvi modo di dirvi addio e impedirle di soffrire.»

    «Non è giusto.»

    «No,» convenne il Dio del Caso. Non lo è.» Disse, impose le mani sulla fronte di Clara per risvegliarla e li lasciò soli.

    Quello che accadde dopo che Kheynra li lasciò soli appartiene esclusivamente ai due amanti. Forse si dissero solo addio, perché la differenza tra di loro era insormontabile: Lei una ladra proveniente dal nulla, appartenente ad una razza che i più non consideravano altro che schiavi e lui era stato l'apostolo del Dio della forze e del valore, e forse ancora si considerava tale, om desiderava esserlo.
    Forse invece, i due riuscirono a essere onesti nei loro sentimenti e fecero l'amore.
    Quando ebbero finito di dirsi addio, Clara sentì le palpebre farsi pesanti e il Dio del Caso tornò. Non disse nulla, semplicemente attese la conclusione degli eventi.

    «Avrei dovuto esserci io al tuo posto.» Sussurrò lui in tono triste.

    «Devi vivere.» Rispose lei.

    Nei tre giorni successivi il respiro di Clara di fece sempre più debole, fino a scomparire. Non v'era traccia di dolore nel suo volto, fu come se si fosse addormentata.
    William scoppiò in lacrime e si voltò verso Kheynra.

    «Quindi non è servito a niente, ho fatto tutto per nulla.»

    Il Dio del Caso gli voltò le spalle e aprì il portale per tornarsene nel suo reame, ma prima di andarsene si voltò verso William e disse:

    «Ogni evento porta al cambiamento. Tu non sei più quello che eri, fai tesoro di ciò che è successo e prosegui verso la tua strada. Questo William è l'unica cosa che posso offrirti ed è tutto ciò di cui hai bisogno.»

    Edited by Michele Massi - 23/2/2020, 14:01
     
    .
  8.  
    .
    Avatar

    Don't hug me, I'm Shy

    Group
    Fantarsyano
    Posts
    162

    Status
    Offline
    La notte era piena di stelle, e con una luna che brillava luminosa nel cielo, illuminando Mako che dormiva steso pancia all'insù coperta dalle braccia in un prato molto morbido, poco distrante da Terra che pareva lottare nel sonno agitandosi moltissimo . Mako per empatia, involontariamente, si svegliò sentendo l'agitazione e la paura dell'amica al suo fianco che si girava e rigirava spaventata, cercò di svegliarla toccandola leggermente sul braccio e chiamandola dolcemente, Terra si risvegliò terrorizzata dal sogno a tal punto da sferrare un pugno aperti gli occhi e colpendo accidentalmente mako sul muso che caddè a terra leggermente stordito per riprendersi subito dopo qualche secondo, e poggiando la mano sul muso accarezzandosi la botta subita si rivolte alla ragazza "cosa ti turba a tal punto da picchiare con tutta questa forza Terra?". L' Esper abbassò gli occhi senza proferire una parole per qualche istante, iniziò a giocare con le dita e rispose con voce rotta "n...no tranquillo nessun problema...davvero..sto bene"; Alzò lo sguardo incorciando quello preoccupato del suo amico suino cercando di abbozzare un sorriso, ma fallendo miseramente.
    Mako scosse il capo "non puoi tenermi i segreti di questo tipo sento che sei spaventata, e lo vedo" disse indicando i suoi capelli sempre piu azzurri e sfregandosi il muso anche se la botta era passata, facendo un occhiolino per rassicutarla, Terra sospirò e inghiotti un pesante nodo e rispose secca " solo un incubo, torniamo a dormire", lo zoomorfo abbassò gli occhi e le orecchie perpresso, pensò a cosa la potesse spaventare tutt'oggi, e cosa le potesse tornare in mente quando dorme, e per in secondo ricordò i suoi incubi, con voce bassissima disse cio che fece trattenere il respiro e trasalire la povera spaventata "hai segnato kefta? Vero?" Sapeva di aver azzeccato, ma la converma fu quando Lei non rispose, nemmeno un cenno, Mako ne era sicuro al 100%.
    L'animale restò impassibile se non per un piccolo spostamento del capo, cercò di afferrare la mano alla giovane che si stringeva man mano in se stessa in un abbraccio solitario e singhiozzante, Mako addolcito accennò un piccolo sorriso rassicurante fissando la ragazza e appoggiò la zampa sul dolce viso dell' amica per farla aprire dal suo abbraccio, appoggiò la sua testa contro l'altra chiudendo gli occhi "sai, anni fa quando, bhe diciamo che avevo una specie di lavoro a quel tempo conobbi molta gente, nessuno aveva il coraggio né le forze per raccontarsi cio che era accaduto, faceva troppa paura quindi facevamo come gli antichi vichinghi, il loro modo migliore per legarsi ad un'altra persona era mettersi in questa posizione, cosi, ed entrambi espirare e ispirare cosi che i ricordi i pensi le anime stesse si scambino insieme alle forza cosi da far capire cosa stavi passando tu e capire cosa stava passando chi avevi davanti"; l'esper appoggio le sue mani prima sul ventre dell'animale accarezzandone il tatuaggio nero sul pancione morbido, poi sul capo dietro le orecchie mentre il furry appoggio le mani sui fianchi dell'amica.
    Appena Terra si sentì pronta trattenne il fiato pensò a tutto ciò che voleva far uscire ed entrambi all'unisono espirarono liberando tutto per poi inspirare; Mako sentii che la sua amica si era tranquillizzata con questa semplice tradizione anche se restava visivamente un po' agitata, mako penso a cosa potesse fare per fare di più: voleva che per una volta Terra si sentisse compresa e piu leggera e lui sapeva come fare lui capiva Terra come lei capiva lui riguardante il loro trascorso infelice; la guardò negli occhi per un istante che pareva eterno cercando di capire come agire "potresti...sai...passarmi parte del tuo passato, quelli che ricordi, che ti fa male, ti sentiresti piu libera" Terra scosse il capo e assunse una smorfia indispettita, si allontanò da mako subito freddamente tenendo il contatto visivo "Assolutamente no, non chiedere mai piu una cosa del genere, e non pensarci nemmeno piu?! Intesi?! nessuno dovrebbe...sentire...cio che ho sentito...e provare cio che ho provato io perche è quello che mi porta anche avanti, tutto quello che ho provato, non voglio che nessuno lo provi, io basto."disse con voce che tendeva all'urlo, Mako smise di sorride e diventò improvvisamente serio "so cosa provi...e si...so cosa volevi intendendere..." anzò gli occhi al cielo per ammirare le stelle, Terra continuo a fissarlo rattristata al pensiero del suo conportamento nei confronti dell'amico "so cosa intendi, tutto quel dolore del passato, quella sofferenza, quell'orrore che speri di non sentire mai piu nemmeno per sbaglio, come uno squarcio che non si puo rimarginare" si stroppicciò un occhio "ma sai cosa devi fare con quella pena?quei carboni che bruciano? l'unica cosa che puoi fare e stringerli tutti a te e non farli mai scappare, nemmeno un frammento, con l'unica promessa da fare a te stesso che nessuno avrebbe subito più quelle...cose...ne crearle altre che creino sofferenza, e lo prometti a tutti, nessuno soffrirà o farà piu soffire...non sotto il mio sguardo...ed è cio che ti tiene sempre fisso sui tuoi ricordi, perché devi ricordare per impedire che si rifaccia sotto al tuo naso" si rivolse con lo sguardo lucido a Terra silenziosa, poi tornò a parlare "siamo dei guardiano noi. Lo sapevi?" Terra annuì poi avvicinandosi al suino che non smise di spiegare "guardiani, custodi del presente e del futuro,per sempre". La ragazza lo abbracciò spingendolo tanto forte da farlo cadere sul prato ormai tornato freddo a pancia all'aria e atterrare sul morbido pancione di mako che tornò a sorridere guardando negli occhi Terra ricambiare il sorriso illacrimato e scoppiare a ridere insieme della scena che si era formata.
    Mako la guardò perso mentre su di lei le ultime lascrime timide le incorniciavano il suo bellissimo sorriso, stavolta uno sincero, Terra si sentiva piu leggera, e le uniche parole che lei riuscì a pronunciare con un filo di voce, come se volesse farle sentire solo a lui, come se nient'altro importasse, prima di abbracciarlo ancora piu forte furono "grazie", il suino sorrise poi ricambiò l'abbraccio, mako prese fiato avvicinando cosi il viso ti Terra al suo, lei gli porto le braccia intorno al collo mentre lui le mise una mano lungo la schiena "cara Terra, ti prometto che io Mako ti proteggerò da chiunque osi farti del male, portarti via da me, o impedirti di essere libera te lo prometto" Terra imbarazzata lo fissò arrossendo un pochino mentre Mako tirò in su lo sguardo verso le stelle, ispirando lentamento cosi da allentare la pressione sull'addome "bhe sempre se lo vuoi" Terra non esitò un istante a replicare con "si, lo voglio" per poi addormentarsi subito dopo sulla grande pancia del suo protettore.
    L'indomani si svegliarono col sole caldo sui loro corpi abbracciati, si resero conto subito, che cio che era stato detto la notte prima, quella promessa, si sarebbe rotta appena lo loro strade si sarebbero divise, tacevano, non si erano ancora alzati per mettersi in cammino verso una nuova avventura, quando Terra spezzo il silenzio iniziando a piangere temendo il giorno in cui si sarebbero divisi, l'unico pensiero di Mako era cio che gli voleva dire in quel momento " chiedimelo, ti prego chiedimelo,chiedi", ma qualcosa pareva bloccare quella frase in gola tutte le volte che lui accennava a dirla, Terra non smetteva di piangere sembrava incalmabile, mako si alzò adagiando la sua amica sul prato, lui si sedette davanti a lei intenta ad ascigarsi le lascrime coi polsi e trattenere il respiro per smettere di singhiozzare, chiuse gli occhi e mako le disse:" Terra, chiedimelo, chiedimelo chiedi cio che vuoi e non farmi dire di no chiedi di restare e io resterò per te...con te fin quando vorrai", la fanciulla singhiozzante prese la testa di mako fra le mani accarezzandone gli zigomi, dal suo volto baganto spuntò un sorriso che mako non aveva mai visto in Terra, si alzò inpiedi e a grand voce: "ti prego Mako, prenditi cura di me come io lo farò con te, stai con me fino alla fine dei nostri giorni" Mako si alzò in piedi parallelo alla sua dama e senza proferire parola, con un gran sorriso annuì prendendola in braccio e tenendola stretta a lui.
     
    .
  9.  
    .
    Avatar

    Junior Member

    Group
    Ex Fantarsyano
    Posts
    67

    Status
    Offline
    Cinguettavano gli uccelli mentre il misterioso uomo prendeva tra le mani guantate di cuoio nero quella pergamena su cui era scritto un importante annuncio a lui, solamente a lui rivolto. Calda era la giornata appena trascorsa, ora il sole ormai rivolto all'imbrunire andava a far seguire ombre allungate sulla brava gente di quel villaggio a crocevia di strade portanti verso città e campagne. Placido scorreva un ruscello, attraversato da un ponte in pietra ormai vetusto e consumato dal tempo, facendo da sottofondo alla lettura dello scritto rivolto da qualcuno di ben più in alto del lettore lì impalato.

    [Nobile Mastro Graubert, quando leggerete questo scritto non mancherà molto al nostro ritorno nel prestigioso Ducato di Blanchard. Vi attendiamo nella Locanda dei Sette Astri, l'urgenza della questione è massima. La Duchessa Cirianne Tamariel dei Garethire Mal richiede il vostro intervento e solo il vostro animo indomito potrà debellare l'oscuro male che imperversa nel Ducato. Vi prego d'accogliere il nostro appello, Mastro Graubert, Sua Grazia pone in Voi la sua massima fiducia e verrete lautamente ricompensato per i Vostri servigi.]

    Un solo verso animò la gola dell'uomo ancora incappucciato, avendo riletto quella missiva poco prima di entrare nel loco di perdizione e grandi bevute indicato proprio in quell'apparente urgente comunicato a lui rivolto. Non era semplice la vita per quell'uomo, al secolo conosciuto come William Allanon Graubert, soprattutto per chi s'era fatto abbacinare dal destino ormai innumerevoli volte sia nel bene che nel male. Non era un mago, tanto meno un condottiero, ne un nobile od uno straccione ma percorreva la sua Via prettamente da solo ed al di sopra di ogni cosa vi era il perenne viaggio alla ricerca di nuove sfide o di favori da riscuotere sotto lauta ricompensa da parte di chi s'indebitava pur di risolvere problemi più o meno gravi del previsto.

    Scricchiolava la porta in legno, aperta chissà quante volte da avventori sobri ed usciti ubriachi marci, palesando la figura alta e ben piazzata del Mastro. Lunghi capelli bianchi raccolti dietro la testa e lasciati liberi di arrivare a lambirgli le larghe spalle. Viso maturo, segnato dalle innumerevoli avventure da lui già vissute, su cui era incastonato lo sguardo "da gatto" creato dalla pupilla allungata che squarciava le iridi gialle già pronte a scandagliare l'ingresso della locanda. Fisico atletico e definito, protetto da una tenuta in cuoio nero ed intervallata da sottili ma resistenti parti metalliche oltre ad una cotta di maglia a protezione del busto e delle braccia. Sopra la spalla sinistra sbucavano le impugnature di ben due spade, una d'acciaio per combattere gli uomini ed una d'argento per rivaleggiare anche le bestie più spaventose mai giunte nel mondo dopo il catastrofico evento che unì a doppio filo delle realtà talmente distanti che erano relegate solo al mondo delle fiabe, almeno fin quando tali smisero di essere.

    Si diresse senza indugi verso una coppia di uomini agghindati come si confaceva al tanto blasonato Ducato di Blanchard, in armatura dorata completa d'elmi abbelliti da pennacchi piumati di sgargianti colori. Si fermò al loro tavolo con le braccia incrociate al petto, cosa che provocò nei due cavalieri un sommo stupore. Non ci misero troppo a spiegare al Mastro cosa stesse affliggendo la loro terra natale e soprattutto ribadire quanto Sua Grazia lo volesse immediatamente alla sua corte. Socchiuse gli occhi il Mastro e prese un lungo sospiro di rammaricato patimento.

    "Partiremo immediatamente, la situazione sembra seria. Ma necessito di parlare con Sua Grazia per poter definire meglio i dettagli e soprattutto concordare la mia ricompensa. Non mi state chiedendo di sbarazzarmi di qualche stupido mostro, questa bestia è pericolosa. Andiamo."

    Disse l'uomo dai bianchi capelli e la voce vagamente arrochita, facendo scattare sul posto i due cavalieri che non persero tempo a sellare i cavalli e partire insieme al Mastro alla volta del Ducato di Blanchard. Il viaggio fu tranquillo, nonostante tutto, portando i tre a percorrere le idilliache terre del Ducato a sud delle terre conosciute e benedetto dal clima favorevole tutto l'anno. C'era chi credeva fosse tutto uscito da un libro di fiabe, viste le placide vallate e le foreste silenziose che punteggiavano ovunque il panorama attraversato dai tre in sella ai loro cavalli. L'eterna primavera baciava sconfinati vigneti carichi di uve profumate, illuminava campi pieni di ogni delizia terrena e faceva brillare il grande lago su cui si specchiava il bianco palazzo della Duchessa, arroccato in cima alla rupe su cui sorgeva la capitale: Villumiere.

    Scalpicciavano gli zoccoli dei tre destrieri, fin quando la strada acciottolata non li portò a risalire tutta la capitale fino ai piedi del sontuoso palazzo dalle irte guglie di tipica architettura elfica. Smontò da cavallo il Mastro, con un fluido movimento di gambe, lasciando le briglie della sua fidata Rutilia allo stalliere di corte. I due cavalieri che accompagnavano il Mastro si prodigarono a condurlo nelle fastose sale del palazzo ducale, talmente ricco ed opulento da far impallidire le dimore di sovrani che potevano vantare territori estesi per decine e decine di volte il piccolo ducato. Attraversarono saloni da ballo, stanze da pranzo e sontuosi corridoi che attiravano di tanto in tanto lo sguardo del Mastro per via dei suoi sensi sviluppati. Poteva percepire la storia di qualche pregiato e ricercatissimo oggetto, oppure vedere tracce di eventi recenti ivi consumatesi. Essere lui poteva diventare un tormento oppure una delizia se si voleva scavare nei torbidi passati altrui. La sua Via lo aveva portato ad intrecciarsi sentimentalmente e professionalmente con molte persone, forse anche troppe per un solo essere che di umano aveva solo l'aspetto ed in alcuni casi pure la morale. Ma il caso della Duchessa era particolare, condividevano una conoscenza decennale e lei nascondeva egregiamente qualcosa di più verso il Mastro.

    Arrivarono i tre alla base di un'ampia terrazza circolare, incastonata tra le affusolate torri bianche del palazzo, coperta parzialmente da una serra a vetri finemente decorata con delle scene tipicamente cavalleresche. Nobili uomini bardati in armature scintillanti che combattevano contro mostri per salvare le loro amate, scene d'amore tra dame e cavalieri con svariati simboli araldici del ducato che rappresentavano tutti una rosa bianca. Tale era l'appellativo di Sua Grazia, "Rosa Bianca", per via della sua eterea bellezza ed i suoi gusti nel vestire sempre e solo di bianco. C'era chi la prendeva come una scelta d'incarnare la radiosità con cui la luce naturale dell'eterna primavera la facesse brillare, però c'era anche chi vedeva la scelta di tale colore come a volersi affermare d'essere la più pura creatura in tutto il ducato e che nessuno poteva mai macchiarla di qualsivoglia peccato. I pettegolezzi erano all'ordine del giorno, soprattutto in una società opulenta e ristretta come quella di quel piccolo angolo di terra.

    E lei era lì, radiosa e bellissima oltre ogni possibile canone umano, vestita di un elegantissimo abito bianco dall'ampia gonna a sbuffo e dei ricami damascati in oro a disegnare delle rose bianche in piena fioritura. Non era ovviamente umana, dato che sembrava un'elfa mescolata ad un angelo per quanto la sua pelle rosata fosse candida ed i suoi lineamenti slanciati erano motivo d'invidia e d'ammirazione perfino nella corte ducale. La lunga chioma argentea scendeva in ondulati boccoli fino a lambirle la schiena, sul capo regnava un diadema dorato impreziosito da gemme provenienti da terre lontane e misteriose che brillavano come stelle cadenti in una notte stellata. Ma le due gemme più esotiche erano gli occhi di Sua Grazia, azzurri come i più puri degli zaffiri, puntati sul Mastro giunto da lontano in suo soccorso.

    [Mastro Graubert! Finalmente siete arrivato a portare un raggio di sole nella mia buia e tetra vita! Il Ducato di Blanchard è onorato di accogliervi ed io nell'autorità di sua Duchessa vi garantisco tutti i diritti scaturiti dalla convocazione della corona ducale.]

    "Vostra Grazia, in verità io..."

    [Nessuna obiezione, Mastro Graubert, so quanto siete modesto e soprattutto discreto. Sono due cose che ho da sempre apprezzato su di voi.]

    S'avvicinò, facendo ticchettare i tacchi delle sue scarpe coperte dall'ampia gonna a sbalzo sul marmo bianco della terrazza, provocando una reazione immediata da parte dei due cavalieri di fianco al Mastro che s'inchinarono al cospetto della loro sovrana. William invece sfoggiò un breve sorriso di circostanza, le emozioni per lui erano poco in linea con il lavoro che spesso svolgeva ed allo stesso tempo non si lasciava crogiolare troppo da esse per evitare distrazioni. Tranne per le donne, su di lui avevano un ascendente tale da averlo fatto cadere in fallo più e più volte. Ma dopotutto, in fondo, chiunque ha una debolezza e quella del Mastro era proprio il gentil sesso a meno che non fossero streghe o vampire. Lì sarebbe cambiato tutto, spesso finendo con teste mozzate o corpi carbonizzati. Invece in quei frangenti si era al cospetto della donna più bella mai incontrata da egli stesso, cosa che lo fece vacillare dietro quella maschera seriosa che si portava sempre dietro.

    [Arriverò dritta al punto, per quanto io sia circondata da abili uomini e cavalieri non possono porre rimedio a ciò che mi minaccia costantemente. Una pericolosa bestia vuole uccidermi per gettare il ducato nel caos. Sono già morte quattro persone, la quinta so per certezza di essere io ed è quasi arrivata a compiere il suo oscuro disegno qualche giorno fa. Vi prego, Mastro Graubert...William...ponete fine a questa congiura nei miei confronti e ve ne sarò grata per tutta la vita! Le mie notti sono ormai senza sonno da ormai cinque giorni, le mie forze m'abbandonano sempre più e...]

    Esclamò la donna, tanto fiera quanto impaurita da ciò che il destino sembrava serbare per lei. Quando però all'improvviso crollò su se stessa, affaticata da intere nottate insonni, venendo prontamente soccorsa dalle possenti braccia ed i portentosi riflessi del Mastro che scongiurò un suo svenimento. La sollevò delicatamente di peso, facendosi condurre ai suoi appartamenti. Respirava a stento, delirava e soprattutto piangeva come se stesse passando le pene dell'inferno. L'adagiò sul sontuoso letto a baldacchino, cercando dentro di se le risposte che non riusciva ad afferrare per suo conto.

    "Sembra che qualcosa le stia sottraendo il sonno, la forza vitale e le infligga dolore mentale. Cosa potrà mai essere e soprattutto perché accanirsi così su di lei ed altre quattro persone?"

    Si chiese l'uomo dagli occhi di gatto, mentre continuava a guardare la duchessa sofferente sul suo letto dove non trovava riposo. Sembrava vittima di un incubo ricorrente, avrebbe dovuto indagare anche sulle altre vittime e venirne a capo prima che si aggiungesse l'ultima a quel criminoso piano di cui neanche conosceva l'artefice. Lasciò il palazzo, salendo in sella alla sua fidata Rutilia e si diresse lì dove le altre vittime trovarono la morte al varco. Quattro vittime che erano state assassinate da qualcuno talmente abile dal non lasciare prove tangibili ma solo un grottesco simbolismo parallelo alle Cinque Virtù Cavalleresche: valore, onore, compassione, generosità ed infine saggezza. Tutti i cavalieri, giovani ed anziani, dovevano incarnare queste virtù per poter definirsi tale. E le vittime non lo erano, quindi qualcosa non quadrava affatto. Ma qualcuno puntava il dito contro le virtù oppure la mancanza di esse aveva fatto troppi danni per colui che tirava le fila dietro questi omicidi efferati.

    Giunse di fronte ad una ricca casa con ancora l'uscio aperto ed una piccola folla di gente raccolta nel chiostro interno dell'edificio a piangere il morto. La vittima era uno stimato gioielliere di Blanchard, ritrovato esanime sulla porta di casa e vicino a lui vi erano solo degli stracci, una ciotola ammaccata ed un cucchiaio di legno spezzato. Nessuno si era fatto troppe domande, se non la moglie disperata che accolse William che ormai era sulla bocca di tutto il ducato per via della sua convocazione direttamente da Sua Grazia.

    "Nessun uomo può essere chiamato giusto se non condivide la sua prosperità con gli altri. La generosità è richiesta per mantenere dignità in vita e pace nella morte."

    Rilesse quel bigliettino sgualcito e parzialmente bagnato dalle lacrime inconsolabili della moglie del gioielliere. Il Mastro si mise a riflettere attentamente su cosa potesse essere successo, dirigendosi verso la prossima vittima. Cavalcò fino agli sconfinati vigneti di proprietà della duchessa, arrivando fino agli alloggi dei contadini dove fu ritrovato il cadavere di un contadino annegato in una tinozza di vino con un biglietto stretto nella sua mano destra.

    "Il solo valore non rende un uomo giusto. Quante volte hai incontrato uomini giusti durante le tue avventure che si comportavano da codardi? Chi possiede il valore non ha paura di mettersi contro la maggioranza ed affrontarne le conseguenze."

    Senza esitare si diresse sul terzo luogo del delitto, il cortile di una scuola per giovani cavalieri dove al centro di essa era stato ritrovato il cadavere di un giovane ragazzo impalato su un'alabarda. Per terra, accanto al suo elmo, un biglietto.

    "L'onore non può essere comprato ne venduto, così prezioso da essere il tesoro più ambito al mondo. Eppure si può perdere, macchiando il proprio nome per sempre. Un vero uomo onorevole rimane sempre ad affrontare ogni sfida, non mente mai e soprattutto risponde sempre delle proprie azioni."

    L'ultima vittima che William dovette visitare era, purtroppo per lui, una donna arsa viva nella sua biblioteca e sulla porta della stanza vi era un biglietto.

    "La saggezza è una virtù che va coltivata per tutta la vita. E' impossibile divenire talmente saggi da non poter continuare ad esserlo e diventarlo ancor di più. Ed infatti il saggio è a conoscenza che le scelte sagge non rendono la vita più semplice o migliore, spesso la complicano ma sono le scelte a renderci migliori."

    Raccolti tutti quegli indizi, anche su come furono uccise queste vittime, tornò a palazzo con più domande che risposte. Chiese di poter vedere la duchessa ancora sofferente a letto, delirante e soprattutto immobilizzata sul posto da qualcosa che riusciva a percepire ma che non riusciva a vedere od interagirci. Si mise a sedere allo scrittoio per poter riflettere su quei quattro biglietti, sulle morti avvenute in quei particolari contesti e soprattutto a chi o cosa potrebbe importare di tutto ciò. William si chiedeva cosa potesse legare tutti quei delitti con Sua Grazia, quando all'improvviso sentì le palpebre pesare fin troppo per un colpo di sonno. La vista s'annebbiò e si ritrovò immerso in quella che poteva essere l'esatta copia dell'ambiente in cui si trovava. C'era solo un'inquietante aggiunta, la presenza di uno sconosciuto avvolto in una lunga cappa nera seduto al capezzale della duchessa di cui ne accarezzava i setosi capelli argentati con una mano artigliata.

    [Finalmente c'incontriamo Mastro Graubert, mi stavo chiedendo quanto tempo c'avresti messo. Non preoccuparti, questo Sogno è tanto vivido quanto vero. Se Sua Grazia si ritroverà privata del suo gelido ed insensibile cuore qui...accadrà anche nel mondo in cui il tuo respiro è ancora caldo. Quindi, sarà meglio farla finita nel più breve tempo possibile.]

    Gli artigli dell'essere ammantato di nero cominciarono a seguire le linee del volto di Ciriatan, addormentata ma in eterna agonia, fino a raggiungerle il petto. William non se ne stette assolutamente fermo, ripresosi dal torpore iniziale per quella brutale trasposizione nel mondo onirico andò a sguainare la sua pregevole arma in argento e scattò all'indirizzo dell'uomo che minacciava la duchessa. Senza che ne avesse davvero il tempo, l'ammantato intrecciò le sue mani artigliate contro il filo della lama del Mastro e s'intravide da sotto l'ombra del cappuccio un inquietante sorrisetto sulle labbra sottili ed emaciate di quell'essere.

    "Non sei un Vampiro, eppure ti comporti come tale. Sfortunatamente non ti permetterò di prendere la vita della duchessa ed aggiungerla al tuo elenco di vittime. A qualunque gioco tu stai giocando, sappi che è finito."

    Disse William, assestando un poderoso calcio sull'addome di quell'essere ammantato che indietreggiò contro la preziosa vetrata dietro al letto di Ciriatan. Andò in frantumi all'istante, generando una pioggia di schegge di vetro acuminate che si diressero verso il Mastro come uno sciame d'api infuriate. L'uomo dai capelli bianchi ebbe un battito di ciglia per poter recitare una breve formula, intorno a lui si manifestò uno scudo sferico dai colori ambrati che polverizzò quelle schegge e lo lasciò illeso da quell'offensiva. L'essere oscuro tornò all'attacco con quegli artigli talmente lunghi da sembrare lame di pugnali attaccate alle dita della bestia.

    [Io mi nutro dei sogni, delle speranze e soprattutto dei fallimenti di voi mortali. Credete di essere al sicuro quando dormite o quando vi rifugiate nei vostri giacigli e chiudete gli occhi. Oh, il sapore della vostra paura è così delizioso quando v'accorgete di aver fatto un torto ad un povero innocente. Ma lei, Sua Grazia, ha fatto l'errore peggiore di tutti. Poteva dimostrare compassione per un amante in pena per la sua donna, invece rimase irta sul suo scranno a sputare sentenze. Ha preferito togliermi l'amore della mia vita a favore delle sue leggi dietro le quali si nasconde, quindi io le toglierò la vita secondo la mia legge. E tu non me lo impedirai, Mastro Graubert!]

    Una poderosa spazzata doppia si allungò verso William che senza esitare aggirò l'essere oscurò, ferendolo ad altezza del fianco destro ma sembrava non subire alcun effetto dall'argento. Era come se gli passasse attraverso, non riuscendo a cogliere la sua essenza. Si ritrovarono uno frontale all'altro e la lama in argento luccicava sotto la luce della luna dalla vetrata in frantumi. Non un alito di vento soffiava dall'alto della torre in cui la duchessa aveva gli appartamenti, rendendo l'aria stagnante e pericolosamente gelida.

    "Quindi hai deciso di tua spontanea volontà di uccidere quattro innocenti perché ti è stato negato qualcosa? Cosa ti ha reso migliore di Sua Grazia? La vendetta non è la soluzione ad ogni male, chiunque tu sia. Soprattutto quando ti viene tolto qualcosa, a detta tua, ingiustamente, bisogna prima riflettere su cosa si è perso e su cosa ci è rimasto. Non è così difficile accusare gli altri di qualche mancanza quando siamo noi i primi ad essere manchevoli. Ora farai meglio a liberare me e la duchessa da questo incantesimo e vedremo di risolverla alla vecchia maniera."

    Scattò il bianco contro quell'essere oscuro, puntando dritto ad offenderlo ad altezza del cuore con la punta di quella lama in argento. Di suo conto l'oscuro aprì le braccia, ridendo, mentre William lo trapassò da parte a parte come se fosse fatto d'aria.

    [Tu non capisci. Cosa ne può sapere un essere come te di amore? Tu che non hai fatto altro se non illuderti di amare qualcuno, invece eri legato a quella persona solamente da un incantesimo a tradimento. Ed ancora tentenni nel dubbio se fosse stato vero amore a legarvi, oppure era tutto frutto di quella trama in cui ti sei ritrovato invischiato a tua insaputa. Era solamente un desiderio innocente quello che vi legava, no? Volevate rimanere insieme per sempre, cosa che successe e che vi fece solamente credere di amarvi. Come faccio a sapere tutto questo? Io sono Sogno.]

    William ebbe un attimo di tentennamento, vista la sua posa marziale un po' incerta. Si morse il labbro inferiore, riacquistando la guardia contro l'essere oscuro che era tornato al capezzale della duchessa per strapparle il cuore dal petto sotto i suoi occhi. Fu lì che ebbe l'intuizione, visto dove si trovava e soprattutto cosa l'essere oscuro gli aveva detto. Lanciò la lama d'argento contro Sogno stesso, essa turbinava come un vortice argenteo furioso che fendeva l'aria emettendo un sibilo sordo e questa tagliò la mano artigliata dell'essere che incredulo indietreggiò boccheggiante.

    "Sei stato talmente arrogante da rivelare così leggermente il tuo trucco, Sogno. Siamo in uno di questi, no? Dove ogni cosa può avverarsi e dove tu sei soggetto alle nostre stesse regole. Forse nel mondo reale avresti avuto qualche possibilità di allungare la tua sofferenza, qui però mi hai reso decisamente più forte di quanto non sia già. Hai perso."

    L'uomo dai bianchi capelli arrivò al capezzale di Ciriatan e s'avvicinò ad essa per poggiare lentamente le labbra sulle sue. Sogno non potè far altro che assistere indifeso a ciò che si stava consumando e come il varco tra realtà e sogno stesso si stesse sgretolando sotto il potere di quel bacio. Le dita callose di William carezzavano il delicato bordo del viso della duchessa, mentre quel bacio sempre più passionale e trasportato sembrava averla quietata dal suo tormento. Come se il tempo si fosse riavvolto su se stesso, la vetrata in frantumi tornò intatta e l'aria gelida si riscaldò nel tepore primaverile che Blanchard conservava tutto l'anno. Ciriatan riaprì gli occhi solo per qualche istante, non dicendo nulla e guardando William ancora intento in quel bacio sorrise appena mentre si lasciava trasportare da esso. Fu una notte di passione ritrovata a cancellare le brutture di ciò che aveva tenuto lontano William e Ciriatan per così tanto tempo.

    Non fu un caso che ella convocò proprio William nel suo ducato, la storia a cui Sogno aveva fatto menzione era tutta vera. Prima di divenire duchessa, Ciriatan e William condivisero così tante avventure che fecero desiderare alla donna l'eterna compagnia dell'uomo con cui aveva condiviso molta della sua vita in una ricerca dell'amore che era impossibile con chi non poteva provare appieno emozioni a causa delle proprie capacità. Lei, dopo estenuanti ricerche, trovò il modo di contattare un djinn a cui confidò il desiderio di non separarsi mai più da William. Così fu, sebbene però il djinn stesso non fece altro che sugellare un legame non veritiero fino in fondo. William e Ciriatan potevano anche essere insieme ma il dubbio aleggiava nei loro cuori e quando la donna stessa ritrovò il coraggio e la forza di mettere alla prova il loro amore per capire se era tutto vero non ebbe molte risposte a riguardo. L'incantesimo del djinn nella sua semplicità era brutalmente totalitario, loro stavano insieme come Ciriatan aveva desiderato.

    Ma quella sera, dopo anni dalla dissoluzione di quel desiderio, scoprirono come il vero amore potesse trionfare se trovato in modo genuino quando la vita stessa pone tutte le giuste condizioni affinché nasca e cresca forte. Le due metà prima unite a forza, si ritrovarono unite per volontà propria di fronte al pericolo. C'è chi crede che il destino sia beffardo nel darti una seconda occasione per poter riparare ad errori commessi per amore, c'è chi lo vede come un atto crudele e meschino ma c'è anche chi coglie l'attimo per tuffarsi in una nuova vita senza alcun problema e lasciarsi alle spalle gli errori del passato. Destino ed Amore, due forze così simili ed allo stesso tempo potenzialmente opposte tra loro da generare faide millenarie o gioie infinite in un solo battito di due cuori.

    Così si conclude la storia, caro lettore, l'amore trionfa su tutto ciò che può offuscarlo quando vi è davvero la volontà di farlo prevalere e tentare il certo per l'incerto. Ma non è l'amore devoto solamente alla passione della carne, l'amore ha molte forme e molte interpretazioni. Sta a noi decidere quale scegliere e quale coniugazione ci piace. Non è amore anche starsene da soli a fare ciò che ci piace? L'amore è troppo grande per essere definibile in cinque lettere.
     
    .
  10.  
    .
    Avatar

    Member

    Group
    Fantarsyano
    Posts
    568

    Status
    Offline
    La pioggia di metà giornata aveva inumidito le fronde e il terreno, e sotto i raggi filtrati del sole sbocciavano quei piccoli fiori aranciati dall’odore dolce che preannunciavano l’arrivo della sera. Le creature della foresta riprendevano a brulicare: ovunque era un andirivieni incessante di formiche, farfalle, api delle orchidee; gli uccelli, non visti, colmavano l’aria con le loro melodie.
    Neeko si stiracchiò scostando la foglia di banano-felce sotto cui si era riparata. Le goccioline gelate che scivolavano lungo i bordi le colpirono a tradimento il dorso nudo, strappandole un gemito acuto di fastidio.
    Il suo pomeriggio era appena cominciato, dopo quel breve sonnellino a cui era stata costretta dall’acquazzone, che aveva portato con sé aria più fredda del solito. Aiutandosi con la coda, si mise in piedi e contemplò l’ambiente incontaminato attorno a sé. Un millepiedi rosso e nero emergeva dal muschio fradicio, e la ragazza lo squadrò con gli occhioni tondi, interrogandosi se fosse il caso di mangiarlo o meno.
    “Millepiedi no buono, poi Neeko male pancino” rammentò tra sé proprio mentre stava per portarselo alla bocca, e lo lasciò cadere. Prese a incamminarsi sul sentiero di pietre che portava alla radura, e la sua buona stella badava a farle evitare il contatto diretto col terreno, un miscuglio di fango argilloso e foglie che in quella zona della foresta nascondeva mille insidie. Era un po’ intorpidita, aveva bisogno di riscaldarsi sotto il sole che già cominciava a scendere obliquo.
    Ma proprio allora i suoi sensi si acuirono di colpo. Il rumore di qualcosa che incespicava tra le foglie morte, sempre più rapido, sempre più vicino. Il vento, che si incanalava in quella sottile striscia che tagliava il fitto degli alberi, trasportava odore di disperazione e... magia nera.
    L’istinto di sopravvivenza di Neeko le suggerì di correre, dritta verso la fonte di quel trambusto. Non era certo grazie a quell'istinto, che era sopravvissuta fino a quel momento. Finì così per essere quasi travolta da qualcosa che nemmeno nei suoi incubi peggiori avrebbe potuto immaginare.
    Dagli sterpi spinosi era emerso un mostro che si stagliava contro la striscia azzurra del cielo: la pelliccia dell’animale grondava di un tanfo che nemmeno i frutti di durian potevano eguagliare. La bestia cornuta emise uno sbuffo, e allora la mannara si accorse che sul suo dorso sedeva un cavaliere, avvolto in un nero mantello.
    Scostati, orrenda lucertola, non è te che voglio!
    Poco più in là, sui massi, anche la corsa della creatura disperata si era interrotta.
    Neeko si voltò appena, incuriosita dal respiro ansimante, per accorgersi che si trattava di una donna. Aveva la pelle e i capelli molto bianchi, un vestito che le apparve subito molto elegante, e sul capo portava un cappello a tesa larga, con una piuma vaporosa. aveva un guanto nero alla mano sinistra, mentre la destra era nuda.
    Era ferita? Sembrava di sì, ma a quanto pare il sangue che le imbrattava il ventre non era solo il suo. Stava infatti china sul corpo di un’altra donna, di cui da quell’angolazione si riuscivano a scorgere i lunghi capelli neri intinti di rosso.

    Beatrix e Meliah si erano incontrate in una di quelle fredde notti in cui sembra che nulla di buono possa accadere. Erano state portate nello stesso posto, una lurida bettola di un quartiere malfamato, da una strana combinazione. Entrambe erano sulle tracce di un uomo, un piccolo criminale che però vantava molti contatti, un uomo chiave per soddisfare la sete di giustizia e di vendetta delle due. Ne sarebbe susseguita una serie di incidenti, scontri ed equivoci, e non si sa come, dalla violenza era sbocciato altro.
    Si era allora sviluppata una frequentazione tutt’altro che seria ma, man mano che il tempo passava, le due donne si ritrovavano sempre più attratte l’una dall’altra, e quello che provavano l'una per l'altra cresceva di giorno in giorno.
    Era vero amore?
    Beatrix si stupì mentre una lacrima le scivolava sul profilo del naso, e poi un’altra, mentre la sua compagna si spegneva tra le sue braccia. Per una breve parentesi, la sua vita aveva conosciuto una gioia nuova, insperata. Ma era durata come il battito d’ali di una farfalla.
    Sentì il sangue sgorgarle dalla ferita all’addome. Ogni singhiozzo era una fitta che apriva il varco della lama, le faceva scontare il fatto di essere ancora viva.
    Quella era l’ultima caccia.
    Aveva risvegliato un predatore molto più forte di lei, e nulla l’avrebbe salvata dalle fauci già piantate nella sua carcassa.
    Cercò a tentoni l’elsa della spada spezzata, per farla finita, ma era troppo debole e si lasciò cadere in avanti.
    "Finché morte non ci separi? No. Staremo assieme per sempre..."

    Il negromante era già balzato sul terreno, smontando dalla sua abominevole cavalcatura. Non si curò troppo della terza incomoda, che considerò alla stregua di un animale stupido e ingenuo, e prese a incamminarsi nella direzione delle sue vittime. La sua mano gialla e ossuta si frappose fra il volto incappucciato e le donne in fin di vita.
    Questa vista è appagante per ripagare l’offesa che mi avete recato. Ma non abbastanza, mie damigelle.
    Aveva una voce cupa e gracchiante.
    Con l’altra mano disegnò un cerchio fluttuante, e lo illuminò sussurrando roco le formule di un incantesimo arcano.
    Oh sì, la morte vi coglierà in ogni caso. Ma sarò io a decidere quanto dovrete penare, prima.
    Anche se aveva qualche problema a seguire, a Neeko quelle parole apparvero terribili.
    Doveva fermare quell’uomo. Non si illudeva di salvare le due creature moribonde, ma avrebbe risparmiato loro atroci sofferenze.
    Con l’agilità tipica delle lucertole, si affrettò verso il mago per ghermirlo.
    Fu allora che la fortuna, dopo molti anni, sembrò abbandonarla. Aveva messo un piede su una foglia marcia ed era ruzzolata, attirando l’attenzione del nemico.
    Ah dunque è così, bestia raccapricciante, credevi di farmela? Non sarai più tanto intraprendente, quando il tuo corpo muterà in un intrico di rami contorti!
    Un raggio verde partì dalle mani dell’incappucciato, e aveva quasi toccato la guancia morbida del suo bersaglio, quando si fermò e parve infrangersi nell’aria. Egli si accorse allora di aver sottovalutato quell’essere che gli offriva resistenza e caricò un secondo colpo con una forza superiore: stavolta la sua potenza non avrebbe trovato ostacoli.
    Ma proprio mentre prendeva la mira, avvertì un dolore forte e lancinante. Una lama spezzata gli si era conficcata nella caviglia. Il colpo partì e centrò la pietra azzurra che Neeko portava al collo, riflettendosi con mille raggi nello spazio circostante.
    Cosa mi...
    Non concluse la frase, perché il suo corpo era diventato di legno, un arbusto grigiastro la cui base era stata recisa, e cadde nell’ombra del suo stesso mantello.
    Una mano candida come le rocce su cui giaceva, era avvolta in una di una tonalità più scura: insieme avevano trovato la forza per porre fine alla vita del loro carnefice, prima che essa abbandonasse anche i loro corpi avvinghiati. Le due figure scomparvero alla vista, scivolando in una fenditura profonda ma illuminata, verso la terra umida.

    Quando Neeko si risvegliò, non ricordava nulla. Sapeva che qualcosa di tragico era avvenuto, ma non aveva la più pallida idea di ciò a cui aveva assistito e, francamente, non le interessava ragionarci troppo su. Si risistemò il top, che era scivolato un po’ troppo verso il basso, e si distese.

    Gli anni passarono, sotto gli occhi curiosi del camaleonte. Nella stagione più fresca le capitava, alle volte, di tornare in quel luogo, per godersi il tepore del pomeriggio. Il suo punto preferito era il grosso albero che si ergeva al centro di quello spiazzo aprendo in due la roccia antica. Le piaceva scalarlo, giungendo alla volta dove i fiori riempivano l’aria di un buon profumo, e le farfalle vi si posavano copiose.
    Quell’albero era cresciuto sano e rigoglioso, aveva affrontato le intemperie e le sue radici si erano ricongiunte a quelle delle altre piante, nella foresta.
    Il suo tronco ha un aspetto curioso, che ha ispirato alcune leggende, e ancora oggi è meta dei più romantici: la loro mente innamorata vede nella forma del colletto l’abbraccio di due amanti, per sempre custodito sotto la robusta corteccia.

    Edited by MantisWhisperer - 25/2/2020, 01:26
     
    .
  11.  
    .
    Avatar

    Advanced Member

    Group
    Administrator
    Posts
    2,523
    Location
    Fantarsya - il mondo della Fantasya GdN/R

    Status
    Offline
    Le votazioni sono aperte!

    Regole per le votazioni:
    • Si può votare un massimo di 3 partecipanti
    • Il voto è anonimo tranne che per l'amministrazione
    • Il voto non può essere annullato
    • Non ci si può auto-votare


    Edited by Sorte (Master) - 28/2/2020, 10:37
     
    .
  12.  
    .
    Avatar

    Advanced Member

    Group
    Administrator
    Posts
    2,523
    Location
    Fantarsya - il mondo della Fantasya GdN/R

    Status
    Offline
    VOTAZIONI CONCLUSE!

    Ecco i vincitori:

    1. Olesya Inchinatevi!

    2. The Sadistic One!

    3. Michele Massi, Grimar e MantisWhisperer!

    gli altri partecipanti ottengono il premio generale!





    L'amministrazione ci tiene a ricordare che:

    • Per ogni premio l'utente dovrà specificare il personaggio a cui viene assegnato

    • I premi multipli (es: 5 slots) sono divisibili tra personaggi (es: 3 a Caio e 2 a Tizio)

    • Per le slots del tipo a scelta dell'utente bisogna specificare il tipo di slot, oltre che il personaggio a cui sono assegnate

    • 1 avanzamento di grado vale solo per una singola promozione

    • Quando si assegna la capacità senza limitazione, bisogna specificare quale sia tra quelle del glossario

    • Le capacità garantite dagli oggetti NON occupano slots

    • Le capacità speciali non garantite dagli oggetti invece occupano 1 slot

    • Potete assegnare dei premi anche a personaggi che avete in cantiere e la cui scheda sia stata postata anche se incompleta e non ancora accettata

    • In virtù del punto esposto sopra, i premi non saranno assegnati automaticamente, nel caso il giocatore abbia una solo personaggio, ma sarà l'utente a dover comunque specificare il personaggio a cui vuole che siano assegnati

    • Le riduzioni di tempo valgono per l'utente quindi non devono essere assegnate a un personaggio
     
    .
  13.  
    .
    Avatar

    Advanced Member

    Group
    Administrator
    Posts
    2,523
    Location
    Fantarsya - il mondo della Fantasya GdN/R

    Status
    Offline
    Ecco l'assegnazione delle capacità e degli oggetti a discrezione dello staff:

    a Olesya Inchinatevi
    • Eros
    • Oltre l'ignoto
    • Howls of a Rancorous Shadow
    • Fheor Iel Tan: dado speciale che consente al giocatore di scegliere, dopo aver tirato già un dado, se lanciarlo di nuovo o meno. Se il giocatore decide di non farlo, sarà valido il primo lancio, altrimenti il secondo invaliderà quello precedente. Può essere usato solamente se il giocatore sta ruolando con il personaggio a cui è assegnato.

    a The Sadistic One
    a Michele Massi
    a Grimar
    a MantisWhisperer

    Edited by Sorte (Master) - 1/3/2020, 23:41
     
    .
  14.  
    .
    Avatar

    Senior Member

    Group
    Administrator
    Posts
    12,034
    Location
    Mistero u.u

    Status
    Offline
    50 slots (generali) (30/50 assegnate)
    > 30 slots generali a Moya Deum

    50 slots (a scelta) (12/50 assegnate)
    > 12 tecniche elementari a Moya Deum

    5 classi aggiuntive (4/5 assegnate)
    > Teorico (grado Teorico, specializzazione Filosofo) - (Johan Marek)
    > Adepto (divinità Nyx, grado Adepto, specializzazione Conoscitore) - (Johan Marek)
    > Cavaliere (grado Cavalier generale, specializzazione Cavaliere selvaggio) - (Victoriae Whitecrown)
    > Scienziato (grado Scienziato, specializzazione Medico) - (Victoriae Whitecrown)

    5 specializzazioni aggiuntive (5/5 assegnate)
    > Cavaliere di guardia reale (Beatrix Helsing)
    > Pirata solitario (Beatrix Helsing)
    > Pilota (Beatrix Helsing)
    > Stratega (Beatrix Helsing)
    > Padrone (Beatrix Helsing)

    2 trofei (2/2 assegnati)
    > 2 a Moya Eileen Deum

    2 capacità che ignorano le limitazioni (2/2 assegnate)
    > Bloodlust (Evander Van Hain)
    > Realizzare desideri (Lyriel Iikai)

    Eros >

    Gashes of a Cursed Land > Beatrix Helsing



    REGALO

    3 avanzamenti di grado
    > 1 a Grimar
    > 2 a MantisWhisperer

    archievement "I love events!"
    > a Michele Massi

    Edited by Sorte (Master) - 19/8/2020, 16:23
     
    .
  15.  
    .
    Avatar

    Member

    Group
    Fantarsyano
    Posts
    568

    Status
    Offline
    Quindi ricapitolando e aggiungendo un po' di cose

    25 slots (generali) [4/5 assegnate]
    15 > Amanda Antares
    5 > Gorthan

    25 slots (a scelta) [3/5 assegnate]
    5 tecniche elementari > Amanda Antares
    5 capacità fisiche > Amanda Antares
    5 poteri mentali > Thagarn

    3 classi aggiuntive [1/3 assegnate]
    > Gorthan (Militare > Nauta > Nauta con specializzazione: Stratega)

    3 specializzazioni aggiuntive [0 assegnate]

    1 avanzamento di grado (+ 2 in regalo da The Sadistic One) [2/3 assegnati]
    2 a Gorthan
    da Scienziato affermato -> Scienziato famoso
    da Scienziato famoso -> Premio Nobel per le Scienze

    1 a Thagarn
    da Collaboratore > Semiconsacrato

    1 trofeo [1/1 assegnato]
    > Amanda Antares

    achievement "I love events!" [1/1 assegnato]
    > Amanda Antares

    1 capacità che ignora le limitazioni [1/1 assegnata]
    Out of Control > Gorthan

    1 capacità speciale [1/1 assegnata]
    Wails of a Desperate Goddess > Amanda Antares

    Edited by MantisWhisperer - 16/3/2020, 11:38
     
    .
17 replies since 13/2/2020, 10:09   665 views
  Share  
.